Ognuno di noi, almeno una volta nella vita, è stato o sarà costretto ad affacciarsi su quell'oscuro abisso che è la perdita di una persona amata. Il non avere più al nostro fianco un genitore, un parente o un amico ci lascia indifesi di fronte a un caos interiore in grado di farci perdere momentaneamente la bussola.
È proprio partendo dall'insensatezza di questo dolore così difficile da gestire, che Alessandro Forte ha deciso di scrivere Febbre. Nel suo nuovo singolo, il cantautore piemontese, partendo dalla morte di una persona a lui molto cara ("Son sei mesi che è mancato mio nonno"), fa un attento bilancio su cosa si guadagna e cosa si perde quando si diventa grandi.
Un ottovolante emozionale in cui spesso ci si ritrova spaesati e costretti a ripetere più volte gli stessi errori ("E faccio la figura dello stupido sai, forse i miei problemi non li supero mai") per poter crescere e andare avanti.
In Febbre, la contrapposizione tra la bruttezza e lo splendore della vita si riflette in un interessante accostamento tra l'ombrosità delle ritmiche urban e l'apertura pop rock decisamente più solare del refrain, cristallizza nel catartico assolo di chitarra presente alla fine del pezzo.
Una soluzione sonora definita dal suo stesso autore come "un espediente ormai in disuso nel pop moderno, ma che vuole donare al brano una vena di immortalità".
Autentico. È questo l'aggettivo che meglio descrive Febbre. Una parola troppo spesso abusata nel panorama musicale non solo italiano ma che, almeno in questo caso, calza a pennello con le emozioni che Alessandro Forte ha voluto descrivere nel suo ultimo brano.
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