Il secondo album del quartetto piemontese è una notevole prova di maturità pop cantautorale con interessanti spunti concettuali di taglio generazionale
Prestando fede a un'impostazione caratteriale complessiva che prende in considerazione il genere più dotato di orecchiabilità e passabilità radiofonica per imbottirlo, però, di elementi concettuali decisamente diversi da ciò che intasa l'odierno mercato nostrano di canzoni, i piemontesi Ragione Trucco approdano al secondo lavoro in studio con una considerevole maturità sia nelle capacità di scrittura che nella rispettiva traducibilità in termini di affidabilità sonora.
C'è dunque tanta professionalità, tanta capacità intuitiva, un po' di sana ironia ma anche molta (moltissima) malinconia in un lavoro apparentemente banale ma, in realtà, di pregio se si considera le intenzioni basilari e l'attenta predisposizione con la quale il quartetto di Ivrea posiziona sul tavolo argomentativo le proprie più sincere e accorate ragioni.
Un album come Mi sono perso dispiega senza alcun timore e con grande consapevolezza di mezzi – e rispettive finalità – un gustoso e godibile synth pop con influenze cantautorali indie-alternative nostrane, comprensive di dinamiche e strutture compositive coinvolgenti e saggiamente cucite addosso a tematiche esistenziali attuali tutt'altro che di semplice disvelamento ma trattate con una certosina selezione degli elementi comunicativi (Linguette). Un approccio, questo, che prosegue il suo importante discorso anche sulla scia di pulsioni da dance floor (Quelli nel mezzo) molto ben coadiuvate da arrangiamenti sempre minuziosi e mai realmente minimali, volentieri aperti a un crescente gusto per la melodia pura che trasporta il tutto verso rive sanremesi ma con elevata predisposizione alla causa contenutistica (Se vuoi venire, Mi sono perso).
Se poi il cammino prosegue lungo ulteriori processi elettronici, pur mantenendo la dichiarata indole pop melodica, c'è solo da guadagnare seguendo la scia cantautorale di partenza per approfondire tematiche affettive di taglio accoratamente carnale (Lady Hawk) anche per tramite di lievi fluttuazioni soul-blueseggianti con incursioni fiatistiche (Giuliano) o ritorni in stile ballad semi-pianistiche (Superficiale) con incursioni deliziosamente latineggianti (Tagadà), nonostante momentanei cedimenti a frustrazioni rappeggianti generazionali contemporanee (Niña Mala).
Complessivamente si tratta di una buonissima prova di scrittura e capacità di trasmissione di idee e intenzioni sonore che si spera possano ampliare il proprio orizzonte anche verso altri non irraggiungibili lidi stilistici.
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La recensione Mi Sono Perso di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2023-05-12 11:40:18
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