A volte i nostri sogni diventano mostri. Ci fanno sentire inadeguati quando non riusciamo a raggiungerli; ci fanno mettere in discussione se valga davvero la pena di continuare a inseguirli. Che forse è meglio lasciar perdere, avere sogni più piccoli, meno ingombranti.
Riding Monsters (Cramps Music, distribuito da Believe), il primo album del cantautore milanese Henry Beckett, è un viaggio di nove tracce all’interno di queste sensazioni. “Di anima americana”, come lui stesso si definisce, Beckett si muove in un mondo folk-rock antico e moderno, alternativo e canonico allo stesso tempo, pervaso della tradizione di cantautori d’oltreoceano come Bruce Springsteen, Ryan Adams e Jonathan Wilson e da influenze meno americane, nello stile di Alexi Murdoch e Sam Fender.
Nell’album, il cantautore milanese si scontra con dubbi e insicurezze: la difficoltà nel trovare la propria strada di Safe and Sound, che si apre con una bella linea di basso; la solitudine country di In Your Company, dove l’unico amico rimasto sembra il foglio bianco sul quale scrivere le proprie canzoni; l’immaginazione a colori di un bambino che sogna oltre il nero del mondo adulto, tristemente cosciente che prima o poi ne diventerà anche lui parte di A Boy Needs To Grow, i cui arpeggi e accordi fanno pensare a una versione alt-folk dei Daughter.
Il focus del disco non è però la rassegnazione, ma la speranza: Everything comes to an end / but all we need is a start, canta Beckett in Some People Get Lost. Tutto ha una fine / ma ciò di cui abbiamo bisogno è un inizio. E questo inizio è ben rappresentato da Riding Monsters e Butterfly. Nella title track le paure crescono e prendono sembianze mostruose: piuttosto che lasciarsi spaventare e scappare, il cantautore le doma e le utilizza come propulsori per realizzare i propri sogni. In Butterfly, il brano al pianoforte che chiude il disco, la brevissima vita delle farfalle non è motivo di malinconia, ma un invito a cogliere l’attimo.
A sei anni dall’uscita dell’EP autoprodotto Heights, Riding Monsters sembra proprio l’inizio di cui Henry Beckett aveva bisogno. Un album con un immaginario chiaro, sia testuale che sonoro, che potrebbe essere per molte e molti uno specchio in cui rivedersi per non perdere la speranza e non farsi scoraggiare quando i propri sogni sembrano irraggiungibili.
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