Partiamo da un dato di fatto: Gabry Tucci non è un artista che ha paura di strafare. Questo, infatti, è confermato proprio dal suo disco Viaggio all'interno della mia testa che già a partire dal titolo ci indica la via, ovvero quella di un cantautore che ha un, disperato forse, bisogno di comunicare la propria arte senza timore alcuno di ripetere se stesso. E se in determinati casi, come ad esempio quello di "Un sabato d'aprile" questa formula funziona, perché Tucci è in grado di governare questa sua "veemenza espressiva" al meglio, in altri momenti perde la briglia e il rischio è quello di strafare.
Tredici canzoni di questo tipo per un disco come è quello che abbiamo davanti sono davvero troppe, soprattutto se si pensa che molte di queste, in particolar modo quelle appartenenti alla prima sezione dell'album, sono un po' troppo simili le une alle altre. Si comprende la già citata urgenza espressiva dell'artista originario di Catanzaro, ma forse una maggiore selezione avrebbe giovato in termini di economia e pulizia generale dell'opera.
Eppure, nonostante tutto, Tucci qualcosa da dire ce l'ha e quando "è misurato" riesce a farlo pure molto bene. Con un maggiore lavorio di bulino, per citare i grandi maestri del Rinascimento italiano, avremo certamente un lavoro di qualità maggiore.
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