Il nono disco dei Baustelle è un colloquio col re del rock, tra i bassifondi e il regno dei cieli
Come si può andare avanti senza farsi del male, dopo aver stratificato lo stratificabile, sul fronte del pop, degli idoli malinconici e del citazionismo? In altre parole, come hanno fatto i Baustelle a tornare a scrivere ed incidere musica, alimentati da incredibile nuova linfa? Hanno trovato in cantina lo spettro del re del rock Elvis Presley, e senza paura della semplicità si sono messi a suonare. Elvis non è solo il nono disco dei Baustelle, ma è anche una prova incredibile di rigenerazione di un sound, tenendosi bene ancorati alle proprie radici emotive.
Si sentono subito chitarre elettriche più libere dai barocchismi anni '80 che avevano caratterizzato entrambi i volumi de L'amore e la violenza. Ci sono gli ascolti di Lou Reed, dei T-Rex, del Bowie del periodo di Ziggy Stardust, e tutto questo è chiaramente filtrato dal filtro "baustelliano", che tocca la visione del mondo e della musica, che eleva tutto ad un sentimento umano e romantico che non ha eguali in Italia ormai. Sta proprio in quel filtro la sfida attraverso cui chi scrive riesce a rimanere sempre fedele a se stesso, o come arriva a dire Francesco Bianconi, a scrivere sempre la stessa canzone.
Un elemento chiave di Elvis è la presenza massiccia, più che in passato, di personaggi protagonisti. Non si tratta propriamente di un concept, anche se inizialmente doveva esserlo, ma di un qualcosa di simile. Si cantano le vicende di più di un re del rock'n'roll, ma ognuno di essi si mostra nella sua versione sudata e imbottita di pasticche, quella dal cuore fragile di metà anni '70. Il disco in effetti è nato con questo intento, raccontare mettendo in scena correlativi oggettivi, ci sono davvero dei personaggi.
C'è Jackie, la drag queen dell'omonimo brano, c'è l'uomo che si innamora della spogliarellista di Gran Brianza lapdance asso di cuori stripping club, o la donna che in Cuore, brano conclusivo del disco cantato meravigliosamente da Rachele Bastreghi, si riappacifica alla se stessa bambina prima di schiantarsi definitivamente al suolo per metter fine alla sua vita, in un drammatico finale a sorpresa degno di Mercy Seat di Nick Cave.
Sul fronte prettamente sonoro colpiscono gli echi di blues che attraversano la seconda parte di Elvis, come se i Baustelle avessero tentato la via dell'elevazione corale, quasi spirituale, della propria musica, per spogliarsi non solo metaforicamente di qualcosa che era già stato spremuto fino all'impossibile. Ricalcando da lontano le orme degli Stones di Exile on Main Street, c'è stato il tentativo di unire "il peggiore dei bassifondi, o dello stradaiolo sudicio, con una sorta di aspirazione al sacro, forse perchè si è così in basso che si deve guardare in alto".
Questo raschiare il fondo per guardare in alto è evidente nel finale pregato in gospel de Il regno dei cieli, brano ispirato al poema L'Angel di Franco Loi, poeta milanese di adozione, che cantò l'eccidio di Piazzale Loreto del '44 e la Milano del dopoguerra. Così come Loi anche i Baustelle hanno sempre regalato atti poetici di Milano, filtrati attraverso una sorta di "sguardo dello straniero", e rendendo questa città nebbiosa un posto mitico, o un solitario punto dentro la "geografia del dolore", come cantano Francesco e Rachele in Milano è la metafora dell'amore.
Alla fine dei conti Elvis è un esperimento con cui i Baustelle hanno provato a coniugare il glam rock inglese e le sbavature gioiose del blues americano, senza mai calzare realmente questi costumi. Tutto è trasfigurato sotto forma di eco, nella voce di Rachele, molto più radiosa del solito, dalle frequenze molto alte, e nei toni da narratore di Francesco, narratore di una manciata di Elvis di provincia, sfigati e unti, ma pur sempre umani fino al fondo dell'anima.
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La recensione Elvis di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2023-04-14 09:03:10
COMMENTI (4)
Io lo trovo un gran disco. I due volumi de L'amore e la violenza sembravano scritti col pilota automatico, una sorta di AI settata sui Baustelle, mentre qua tornano ad essere vivi e ispirati. Non si può paragonare a un disco unico come Fantasma, ma è assolutamente all'altezza del confronto con gli altri, settandosi a metà strada fra i due monumentali Malavita e Amen e recuperando lo slancio spirituale del (per me inferiore) Mistici
@gabvollaro grazie per la risposta. La mia era una provocazione. Certo che si può parlare di un disco andando oltre se è bello/brutto, ma non se ne deve fare a meno. La mia forma mentis è quella di un recensore che consiglia come un fratello maggiore. Negli ultimi anni con i conflitti d'interessi all'ordine del giorno (giornalisti musicali direttori di etichetta ed uffici stampa di quello e di quell'altro) ci si guarda bene a parlar male di un disco.
@partysmith ciao, un paio di cose: prima di tutto penso che parlare di un disco sia ben altro da dire “bello/brutto”, “giusto/sbagliato”. Penso sia più un tentare di fornire a chi ascolta una serie di strumenti per comprenderlo meglio, per arrivare a riflessioni che scaturiscono dalla soggettività di chi scrive (che in questo caso sono io). Seconda cosa, come puoi vedere Elvis è stato eletto Disco della settimana, dunque in questo già c’è un giudizio a priori sul nostro apprezzamento. Infine, per correttezza, ti segnalo questo passaggio:” Elvis non è solo il nono disco dei Baustelle, ma è anche una prova incredibile di rigenerazione di un sound“.
Sperando di rendere sempre meno la musica un fatto di tifoseria social, ti mando un saluto
Gabriele
Non ci dite mai se è un bel disco o no. Prendete posizione porcodue.