Siete mai stati in America del Nord? Io, personalmente, no. Ma oggi mi prenderò una piccola licenza poetica, e lo farò per potervi parlare degli sconfinati cieli che si possono ammirare dalle sterminate distese verdi; dei giochi di nuvole e colori che giorno dopo giorno si ripetono, sempre uguali e diversi, sopra questi mari di verde; e di come questo intrecciarsi giocoso di luce e vapore condensato sia la perfetta metafora per parlare di Cirrus, nuovo album del modenese Angus McOg.
Come l’aspetto delle nuvole in questi cieli altissimi si trasfigura continuamente nel corso della giornata, così accade anche alle canzoni del disco: l’apertura della title track, influenzata dal folk di Bon Iver, tocca le nuvole come fanno i primi raggi di sole della giornata, rifrangendosi dolcemente sulle gocce condensate e diramandosi attraverso l‘aria ricoprono tutto di tenera luce. Con la successiva Lou ci si muove più verso i territori di un sofisticato pop rock accennante ai Kings Of Convenience. Chances è un ulteriore ottimo esempio della poliedricità e leggerezza che possono assumere i brani del disco: partendo da una linea di piano e una voce sommessa, finisce per esplodere in un minuto infiammato di chitarre blueseggianti, col colore del più focoso dei tramonti.
Cirrus è fatto della stessa materia di cui sono fatte le nuvole: un disco leggero e multiforme, che si espande e ritira e dilata nuovamente secondo la spinta delle correnti, capace di rifrangere la luce in mille riflessi colorati, ora scuri come il fondo dell’oceano e ora infiammati come un camino acceso. Lasciatevi cadere sul prato e ascoltatelo trascorrere, non ve ne pentirete. Se lasciate andare la fantasia, potreste persino vedere qualche forma tra le note…
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