Fame: si chiama così quella sensazione di vuoto che dà vita a un'esigenza. E fame è quella che si sente nella voce docile, docilissima di Gabriella Di Capua in I need you, man (Acqvamarine). Una richiesta d'amore, un'ammissione di necessità, un bisogno da sfamare.
Si tratta di un brano ben racchiuso nell'idea di chill pop e trip hop, con qualche sfumatura jazz nella voce che gioca in scale fatte di ripetuti sali e scendi. Le strade erano due: rafforzare i concetti di fame e bisogno attraverso suoni duri, forti e sporchi, oppure farlo con il massimo della dolcezza e della delicatezza. Gabriella Di Capua ha scelto la seconda opzione, avvalendosi di suoni ricercati e al contempo semplici. Il brano diventa articolato più per il suo senso, che per la sua musicalità: da Hans Adolf Bühler e il suo dipinto “Die Heimkehr (Ritorno a casa)” prende, infatti, l'immagine dell'uomo che poggia la testa sulle ginocchia di una figura femminile angelica. Ritrae simbolicamente la figura del soldato che fa ritorno cercando riposo nel grembo della donna. Unione e abbandono vivono contemporaneamente, forse in maniera un po' confusa, nelle parole di I need you, man: poggiati pure, ma "now I’m here, now you’re there".
L'inglese, a proposito, è quella lingua che semplifica concetti che noi italiani non riusciamo a riassumere in poche parole: l'artista, infatti, forte di una musicalità diversa dallo scenario comune, ma comunque decisamente soft, sintetizza una storia struggente di bisogni in frasi chiare, seppur non ad effetto. Come tentativo, infatti, di raccontare esigenze e necessità, il brano di Gabriella Di Capua può ritenersi compiuto, sebbene ci sarebbe piaciuto sentire un po' più di dramma a proposito, da camuffare ancor di più in quelle note che appartengono ormai alla cantautrice.
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