Quando il display dello stereo segna la prima canzone, ci ritroviamo in un territorio familiare. Il tetro lirismo, le atmosfere dolenti, gli arpeggi malinconici. Ingredienti che altre voci e altri pianoforti hanno cantato col cuore – nero – in mano al di là dell’oceano. Ma la domanda rimane la stessa: che cosa cercare in un album? Perché ormai la confusione è direttamente proporzionale al numero sempre crescente di uscite discografiche, e la bussola utilizzata per orientarsi in questo caos sembra confondere la pigrizia comunicativa – un iperuranio sonoro amorale e atemporale, in cui conta più la forma della sostanza – con l’innovazione. Ma non è il caso dei Morose. Loro non hanno paura di sporcarsi le mani con un pugno di canzoni vere, che bussano direttamente alle porte dell’inferno.
Ascoltare “On The Back Of Each Day” è come osservare il mondo dalla zattera di Caronte. Un senso di rassegnazione – “garantiamo delusione” e “inizio della fine” dicono i Morose proprio all’inizio del loro viaggio – a tendere fino allo spasimo il filo rosso che lega questi dieci brani. Certe dinamiche sonore potrebbero ricordare i Godspeed You! Black Emperor, o quantomeno la loro variante più significativa e cantautorale, gli A Silver Mt. Zion. Ma l’accostamento, benché corretto, non terrebbe in conto delle mutevoli traiettorie disegnate dalla band italiana, che all’epica proverbiale del post-rock targato Constellation preferisce una totale assenza di ritmica, in modo da garantire un profilo umorale decisamente più basso e dimesso, dove l’esaltazione lascia il posto alla disillusione. Il palcoscenico è allora tutto per la funerea coda finale di “Rain Dance”, per la dilaniante fisarmonica di “Haven’t You Notice?”, per i richiami Sigur Ròs di “Juròdivyi”.
Canzoni che non si vergognano di mostrare la propria fragilità esistenziale. E pazienza se tutto questo può suonare come patetico maledettismo alla pastasciutta. Chi vorrà, capirà. D’altronde, “On The Back Of Each Day” è un disco di una bellezza intensa e delicatissima, perché fuori dal tempo, fuori dalle mode, fuori dal mucchio. Ma dentro il cuore. E lì non c’è spazio per le finzioni, gli atteggiamenti o le pose.
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