L'album d'esordio dell'anglo-italiano Anton Sconosciuto è un buon esempio di personalità soft pop, neopsichedelica e sperimentale, ma rischia di offuscarsi da solo in un ancora vivo marasma di produzioni similari
Alla sua prima esperienza in studio per la scrittura e la produzione di un album completo, il londinese di nascita ma senese di adozione Anton Sconosciuto dispone in tavola una serie di gustose pietanze che, prese nel loro insieme, costituiscono un ottimo buffet di sagge derivazioni e deviazioni sperimentali, coscienziose quanto basta per tentare una necessaria differenziazione di stile e contenuto, ma che prese singolarmente rischiano di riportare buona parte del tutto verso lidi originari già ampiamente esplorati a livello internazionale.
L'apertura del sipario sulla scena di To make room è riservata a un'impostazione pop autoriale d'oltremanica d'impatto lieve ma ben stratificata quanto a capacità di scrittura e ricercatezza di arrangiamento (Live in your eyes). Segue una predilezione – anche troppo – evidentemente beatlesiana in sede di ballad melodica densa di tatto e gusto per la melodia (Unsinn, Coat), ma successivamente cominciano a fare capolino i primi impulsi sperimentali a livello più strumentistico che compositivo e con occhio ammiccante anche a una personalissima interpretazione di spirito da west coast (Pink bathroom), suggestioni che non tardano a mutare le proprie sembianze anche in quelle di un sofisticato e morbido indirizzo soft jazz comunque intriso di approcci lo-fi (To meet you) e pseudo-psichedelici a stelle e strisce (Day of sun).
Interessanti, poi, le diramazioni ai limiti di un genuino power pop (What's your name), così come coinvolgenti sono pure certe aperture a metà via tra space rock e neopsichedelia con lievi tendenze shoegaze (Tides), ma si tratta di un bagaglio complessivo che rischia di non bastare se si approccia l'opera con spirito di curiosa scoperta innovativa. Sono tanti i punti di riferimento, certo, ma un po' meno gli approdi individuali legati a una ipotesi di identità propria ed estranea – per quanto possibile – agli schemi e alle strutture - spesso ripetitive - tipiche di uno stile che rischia, ormai, di estinguersi al cospetto del proprio stesso modo di essere e di fare.
Si tratta comunque, innegabilmente, di un buon album di genere, godibilissimo per chi chiede alla musica esattamente quel preciso appiglio emozionale e quella specifica fascinazione atmosferica. Che non è affatto poca cosa.
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La recensione To Make Room di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2023-07-18 14:53:04
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