Può un disco essere al tempo stesso potente e nostalgico? La risposta è affermativa se almeno si prende in esame A Chair at the Backdoor dei Giant the Vine, un lavoro che, oltre ad essere suonato benissimo, suscita anche nell'ascoltatore i già citati sentimenti contrastanti. I liguri, infatti, sono stati in grado con pezzi come "Glass" di realizza un qualcosa di molto interessante, che appunto mescola i toni più compassati, se si vuole nostalgici, del post-rock ibridandoli con la loro indole progressive che, magari all'improvviso, magari in modo più sfumato, tutto sconvolge e disfa, in una specie di "uroboro" che torna ciclicamente.
Un disco, perciò, che mi ha convinto sia dal punto di vista tecnico sia dal punto di vista di esperienza, nonostante, almeno a mio avviso, le declinazioni migliori di questa formula si ritrovino all'inizio piuttosto che alla fine dell'album.
"L’album è caratterizzato da un suono potente e nostalgico alla cui definizione contribuisce Ronan Chris Murphy, producer americano noto per le collaborazioni con artisti del calibro di King Crimson, Ulver e Aurora. Se con il precedente Music for Empty Places i Giant the Vine avevano ottenuto un’ottima accoglienza da parte della critica nazionale ed internazionale, con A Chair at the Backdoor il quartetto realizza un sound più maturo, pronto a conquistare un pubblico, seppure di nicchia".
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