Maria Antonietta vive in un palazzo. L’ha costruita con lentezza, dal 2012, quando è uscito il suo primo disco autoprodotto. Mattone dopo mattone, tra poesie medievali, elettronica e testi nostalgici ha creato grandi saloni e guglie gotiche. È il posto perfetto dove danzare, ammassare vecchi ricordi nei lunghi corridoi. Entriamo nella stanza di Deluderti, inaugurata cinque anni fa. Lì Letizia Cesarini – vero nome della cantante marchigiana – scosta una tenda e ci mostra un grande spazio. Schiaccia play e ci fa sentire il suo nuovo disco, La tigre assenza.
Io vi conquisterò, uno ad uno
E se vi sembrerò triste, riderò
Dice la cantante in Diamante. È la prima canzone dell’album, l’ingresso della nuova stanza e il suo ritornello è un obiettivo. Maria Antonietta mescola emozioni contrastanti, il pop-soul travolgente di 375, mani che battono e un tono della voce in giallo seppia, come le vecchie foto. Poi casse elettroniche, una tastiera dal suono infantile e un testo malinconico. Stiamo camminando per la stanza e iniziamo a esplorarla.
Arrivederci a te e a tutto il potenziale che ho sprecato
Ovunque spiccano dettagli contrastanti, ma Maria Antonietta è impassibile. Danza tra i rimorsi e la gioia di aver voltato pagina. Attraversiamo il grande salone con lunghi passi. Alle pareti sono appese le foto dei momenti difficili della sua vita, ritratti in bianco e nero su pareti rosa. È un gioco di contrari, dove dolce e amaro si confondono. Si possono tenere insieme cose così diverse? Maria Antonietta risponde sì. Dirige un’orchestra magmatica di riverberi, gli stessi della stanza in cui stiamo camminando, e di sentimenti.
Arriviamo davanti a un muro, in mezzo c’è una porta chiusa. Quando il disco finisce Maria Antonietta ha raggiunto un equilibrio. Continua a muoversi in mezzo a brani nostalgici, allegri e tristi ma non è più un’emotività fumosa. Maria Antonietta ha deciso.
Se vai via nel buio non ti vengo a cercare
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