Anche se confinato in strutture note e reiterate, il pop rock dei Seal Appeal trae valore da una viscerale sincerità espressiva e una viva urgenza comunicativa
Per quanto la recente pandemia abbia costretto l'umanità a una segregazione involontaria e ad una reale privazione di relazioni oggettive, sulle sponde più sinceramente e accoratamente musicali la cosa (laddove sia possibile riscontrare vera urgenza comunicativa e necessità di realizzazione) non sembra aver influito più di tanto, anzi pare abbia contribuito a un cospicuo incremento di autocoscienza riflessiva in funzione di conseguenti reunion umane di maggior gusto umanistico e desiderio di costruzione.
Non fanno eccezione, in questo, i marchigiani Seal Appeal, che proprio dalla reclusione forzata riemergono forti di una definitiva unione di intenti sfociata in una discesa tra le viscere di garage e cantine per una successiva riemersione in studio in vista di una prima autoproduzione, You're gonna get better, fedele a certi schemi strutturali ma, al contempo, libera da qualsivoglia imposizioni generative in favore di un sano e salvifico sfogo di idee e rispettive direzioni comunicative.
Dalle tenebre emerge gradualmente un impatto melodico di spessore e larga portata, abilmente impostato su funzionalità prettamente pop rock con margini di miglioramento in termini di capacità di coinvolgimento (Nowhere else to be), una sostanza di stampo complessivamente 'classic' che trae forza dal formato canzone per orientarsi anche in direzioni tendenzialmente post-grunge (Bury me, The game of life) di matrice radiofonica ma ben servita sul tavolo di un buon livello di valore oggettivo.
Emergono saltuariamente anche centellinati elementi simil-wave e pseudo-post-punk (You're gonna get better), ma a farla da padrone è sempre la predilezione per il riff in terrirori melodicamente cesellati su paletti compositivi ordinari ma non per questo stanchi o troppo ripetitivi (The prism). Necessarie, però, sono anche le incursioni in fertili terreni power ballad, per quanto sempre tenute a bada da sincere e oneste predisposizioni alla distorsione anche in funzione alternative (Memories), così come potenzialmente utili a un importante barlume di differenziazione sono i pur soffusi approcci tardo-blues (D.D, What I want) e le momentanee esternazioni sia simil-funk (Choises) che in avvolgente convoluzione acusticheggiante (Blue lights).
Forse quattordici brani per circa un'ora di album sono un po' rischiosamente eccessivi per un lavoro di debutto (riservando qualche coppia di brani similari a una successiva uscita discografica, probabilmente, ci saremmo trovati dinanzi a una produzione di maggiore impatto sulla lunga distanza), ma poco importa se si tratta di sintomi genuini per una sana predisposizione all'espressione sonora con rispettiva coniugazione concettuale.
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La recensione You're Gonna Get Better di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2023-10-11 12:02:34
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