Col suo nuovo lavoro in studio, Davide Bava dimostra come il senso delle produzioni rap odierne non si trovi nei singoli usa e getta ma nella capacità di architettare opere concettuali di grande respiro identitario
Tra le tante attività artistiche portate avanti con saggia convinzione dal torinese Davide Bava a cavallo tra la musica e la letteratura (poesia in primis), c'è anche una interessantissima coniugazione solista incentrata sul genere rap più come forma di espressione prolifica che come stile sonoro in sé. Quello posto in essere da Bava, in effetti, è un rap – non a caso – di matrice molto più letteraria rispetto all'espressione di tanti simili in territorio nazionale, molto più incline, anche per questo, a una più profonda e naturale immersione tra le viscere di un umanesimo individuale che si fa forza terrena generazionale da contrapporre a imposizioni non scritte relative a metodi preconfezionati di esistenza terrena e rispettiva conformazione spirituale.
Suddiviso in due fazioni speculari e complementari – una costruita intorno a cinque tasselli inferiori al minuto di durata, un'altra strutturata secondo modalità produttive più canoniche (questa caratteristica, per diretta definizione del suo artefice, fa del lavoro un Ep e non un long playing) – il nuovo lavoro in studio Graffito blu si presenta all'ascolto forte di un titolo (e una copertina) estremamente importante per capire la sostanza del lavoro in questione, strutturato e stratificato come se si trattasse proprio di uno (o più di uno, vista la multipla indicazione, nei titoli dei brani, di luoghi reali dell'hinterland torinese) di quei graffiti rapidamente realizzati nel buio della notte per vitali esigenze espressive, spesso coadiuvate da veri e propri 'pali' antisorveglianza (in questo caso i featuring) e fondamentali a lasciare un segno del proprio sincero passaggio sul pianeta prima che le luci del giorno riportino tutto all'obsolescenza della quotidianità contemporanea.
Musicalmente parlando, Graffito blu imposta le sue basi portanti, come si diceva, su una doppia matrice sonora: da una parte brani brevi a simbolo di atto in corso (la creazione dei graffiti, per l'appunto), dall'altra cinque tasselli il cui compito sembra essere quello di spiegare apertamente la sostanza contenutistica di quegli stessi graffiti, rendendo il tutto, complessivamente, una sorta di concept animistico decisamente interessante e utile dal punto di vista umano, oltre che concettuale.
Per quanto riguarda i primi, si tratta di vere e proprie riproposizioni di ambienti sonori perfettamente visionabili con la forza dell'immaginazione: Porta Palazzo presenta lo scenario su tappeti ambient a corollario del respiro di bombolette spray in fuga dalla polizia, Bar Ala aggiunge una sosta – o un nascondiglio – su soffusi e accennati tappeti simil-funk, Giardini Cavour prosegue il discorso esistenzialista al netto di glitch spaziotemporali e Oftalmico conduce i neuroni verso loop da derive quasi dark ambient sublimate dalle aperture eteree del ritorno a casa suggerito da Linea 11.
Quanto ai secondi, Bava conduce un ottimo lavoro sia di creazione di beat che di collage sonoro molto efficace dal punto di vista comunicativo, optando per una sorta di trip hop sperimentale dedito a una declamazione di versi più che a un vero e proprio rapping (Binario 15), ma lasciandosi anche catalizzare da notevoli inflessioni jazz-black-funk miste a manipolazioni elettroniche di enorme impatto sensoriale (Monte di pietà). Elementi leggermente più canonici fanno capolino comunque su strutture portanti dedite alla sperimentazione sonora di matrice sempre elettronica (Monumentale, San Maurizio), ma vivissime sono anche suggestive incursioni nu soul (Teatro Regio) che rendono la percezione dell'opera ancora più godibile e suscettibile di ulteriori incursioni future particolarmente degne di considerazione.
Forse è proprio questo il modo in cui il rap dovrebbe continuare a contaminarsi sia in termini sonori che produttivi, lasciando definitivamente da parte la sterilità dei singoli usa e getta in favore di un formato album che renda davvero possibile non solo esprimere un concetto identitario e una personale visione del mondo, ma anche – anzi soprattutto – approfondire una imprescindibile possibilità di analisi interiore per ogni specifico argomento messo nero su bianco.
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La recensione GRAFFITO BLU di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2023-10-12 11:27:10
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