Mentre di musica in napoletano ce n’è ovunque, per tutti i gusti e generi, è più difficile imbattersi in materiale proveniente dal resto della Campania, una regione ricca di tradizioni e culture diverse che spesso rischiano di essere oscurate dall’ingombrante realtà del capoluogo partenopeo. E se l’ibridazione con reggae, raggamuffin e dub ha prodotto alcune delle espressioni più rappresentative della musica napoletana recente, nel resto della regione la cultura giamaicana, forte nel mondo dei soundsystem e portata avanti da crew che coltivano con dedizione una ricerca musicale e linguistica local based, ha prodotto meno lavori discografici e musica inedita.
Doverosa premessa per valorizzare l’idea dei Barracca Republic, che con questo ‘Terra Seura’ presentano un interessante progetto reggae cilentano cantato in parte nel dialetto di quella che è, approssimando, la provincia di Salerno e la propaggine di Campania che va verso la Basilicata. Una scelta linguistica forte ma gestita con un utilizzo oculato che riesce a mantenere l’impronta identitaria favorendo però la comprensibilità di testi che, nella loro semplicità, al netto di qualche momento didascalico (il superfluo spiegone preventivo dell’intro) riescono a disegnare una suggestiva mappa glocal, in cui la terra arida ('seura') cilentana è un punto sulla mappa di un Mediterraneo a sua volta complementare al continente africano, e si offre alla possibilità di diventare terra di semina e non di abbandono.
La prospettiva afromediterranea non è nuova nel reggae o nel reggae campano, ma l’impostazione dei Barracca ha una sua personalità e un suo battito, passionale e placido: un sound curato e 100% ‘organico’, dove fiati, tastiere e percussioni interagiscono senza particolari fronzoli, seguendo un groove sicuro e mai affrettato neanche nei momenti più ballabili, stiloso e accogliente allo stesso tempo.
Scordatevi insomma del ragamuffin dei 99 Posse o del dub mutante degli Almamegretta, qui qui ci sono tracce (musicali e umane) degli storici Napoli Rockers Syndicate e una parentela con The Officinalis recente progetto ispirato alla costiera sorrentina, che condivide molte impostazioni stilistiche e il legame con i Rockers. La differenza però la fa l’identità cilentana, l’identità di una terra dalla natura ancora rigogliosa, a metà tra la collina e il mare, dove (provando a non peccare di romanticizzazione) ancora si può immaginare la persistenza di un mondo contadino con i suoi ritmi, tempi, legami emotivi con il territorio e le tradizioni. Un mondo che Edoardo Napolitano e soci evocano vividamente con testi dalle suggestioni antiche (Preghiera dal Sud) o dal coriaceo sentimento politico (Danza, Politic Crime), e con una declinazione appropriata del verbo giamaicano, che anche stavolta si dimostra, nella sua forma più pura, adatto ad accogliere e a raccontare mondi distanti dai Caraibi.
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