La storia discografica dei Misère de la Philosophie è, senza ombra di dubbio, una storia sfaccettata. Già perché la rock band di Piombino, nei dischi e nelle sue canzoni, si è sempre saputa re-inventare, grazie a una capacità rara di fondere, appunto, il rock con il narrare le storie. E questo Vera e Il Diavolo è, in tal senso, un capitolo centrale del loro "libro in musica". Un album denso, talvolta un pochino pesante, o per meglio dire, di sicuro ridondante ma anche contraddistinto da una qualità profonda. Anche nei momenti, diciamo così, più brevi e, apparentemente, semplici, la qualità di cui sopra rimane sempre centrale.
Esempio di ciò è, a mio avviso, la traccia migliore dell'intero lavoro, ovvero "Sono fuori", una bella canzone, dal significato intrigante, ben arrangiata e suonata alla grande. Bravoni insomma.
"Questo album è una raccolta di fotogrammi discontinui che tendono a costruire un continuum narrativo di fondo tenuto insieme da liriche impressionistiche e da un tessuto musicale fortemente suggestivo dominato da atmosfere psichedeliche di volta in volta languide (Correnti Bianche e Solo un Ricordo), abrasive e “garage” (Vera’s Dream I, Lascia che Vengano, Il Diavolo alle Porte, Sono fuori), acide e sperimentali (Vera’s Dream II). Il precipitato narrativo del disco, con le sue immagini ricorrenti che si susseguono a intermittenza stroboscopica, trova dei punti di condensazione nei due protagonisti che danno il titolo all’intero lavoro: Vera e il Diavolo".
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