Il gigante buono dell’indipendenza italiana trova in queste nove tracce postfolk un perimetro soccorrevole alla propria statura
Difficile individuare la killer application in “Lemming”, l’adamantina evoluzione di Bruno Dorella sotto il saio di Ronin. Ce n’è più di una invero, il che conduce a conferire di default il primascelta all’opera tra le più vertiginose del recente presente. Siamo solo a gennaio, ma si vive di sicurezze. A cominciare da “Portland”, soluzione acquosa nell’America dalle hall d’albergo plus au sud all’orientamento paesano dei Friends Of Dean Martinez, A Hawk And A Hacksaw, Beirut; per continuare con la drammaturgia anarchica del “Galeone” su testo originale del carrarese Belgrado Pedrini per il cristallo vocale gelato di Amy Denio: “Lemming” è upper class sia perché ricercato quanto di pelle, vissuto, real.
Il gigante buono dell’indipendenza italiana trova in queste nove tracce postfolk un perimetro soccorrevole alla propria statura, sulle spalle di una ciurma affidata, ritagliandosi pure una chiave personale nei tanti minuti di rilascio e accordatura della titletrack e come factotum dell’assopita “You need it, then it comes”.
Quasi un concept elliottiano di moderna, squisita fattura, capace di isolare episodi (la cinematica apertura “I pescatori non sono tornati”, epica del disastro: ”e la barca tornò sola, mare crudele”) ma anche di consistere quale tutto paragonabile solo a produzioni straniere, valutate coi metri del jazz, della sperimentazione, del timbro d’autore.
Usi alla maestosa quanto universa coralità western-ata del primo disco e dell’antecedente ep, funziona il versatile appropriarsi di altre fonti, affluenti etnici di unico fiume che sfocia nel mare dell’induzione: vi emergono il Brasile manouche e mai troppo allegro di “La banda” e l’esplorare, inedito per la nostra cultura, dei blandi ritmi etiopi che sanno anche ipnotizzare. Lavoro di grande tecnica e gran cuore, certosina levigatezza e pure di accessibilità quasi generale, autosufficiente come suggerisce il “Mantra infernale” “de uma nota so”: facile assegnargli come luoghi d’elezione dal vivo i teatri, gli spazi aperti, minuscoli piani ammezzati, preferibilmente con accessi da botole. E le sale del cinema, in andirivieni su di una pellicola: i Grimoon hanno aperto una strada.
Il 2007 di casa Ghost apre nel migliore dei modi possibili, e proseguirà con Black Eyed Dog, merci Miss Monroe, Edwood e Saeta: se tanto darà tanto... Intanto c’è “Lemming”, spiazzante come la compagnia omonima, cilindro d’altri tempi con la dignità di Arturo Bandini ed Emanuel Carnevali. O Libertà O Morte. Da starci male.
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La recensione Lemming di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2007-01-16 00:00:00
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