Diciamocelo subito: se questo disco fosse uscito all’inizio degli anni 90, staremmo ancora tutti a gridare al miracolo. Ché un’energia simile, che a tratti tocca il furore, nel campo della contaminazione tra rock ed elettronica dance, in Italia l’hanno toccata in momenti di grazia solo Subsonica e Casinò Royale. Però siamo nel 2007, in un momento che forse segna il punto più basso dell’hype del genere. Però questo è anche il momento in cui, da alcuni segni, si comincia a intravederne una certa rinascita: penso a “Empire” dei Kasabian e soprattutto a “Myths of the Near Future” dei Klaxons. I milanesi Anarcord non assomigliano a nessuno dei quattro nomi citati. Piuttosto, verrebbero in mente talune lontane violenze soniche dei KLF, i bassi esplosivi e seducenti dei Marrs, un certo concetto che i pur grandissimi Primal Scream han sempre cercato di realizzare forse senza mai realizzare compiutamente. Tra suoni di chitarra un po’ datati ma forse lì lì per tornare di moda e occasionali inserti ora hip hop (i primi momenti di “Etno Power”) ora Buddha Bar (certi passaggi di “Tora”), quello che colpisce di più degli Anarcord, e ne fa un gruppo da tener d’occhio seriamente, è un’attitudine sexy presente in ognuno dei gruppi inglesi che ho citato e pressoché sconosciuta in Italia. Tanto più notevole, se si pensa che il cantato è prevalentemente in italiano. In “Handle With Care, Devil Inside” vive un clima che discende direttamente dalle serate acid house 88-92 in quel di Manchester. In più, questi ragazzi pestano seriamente, come degli Arctic Monkeys electro, e senza avere quella che chiamo la “sindrome del braccino corto e malato” che sembra attanagliare gran parte dei musicisti italiani, che a mio avviso spesso non hanno la furia sacra, l’urgenza primordiale così facile da trovare nei Paesi anglosassoni e che – mi dispiace, ma non ce n’è per nessuno – è l’essenza di rock e dance.
Musica fatta per ballare e sedursi pericolosamente, senza un briciolo della sciocchezza dance tamarra. Su tutti, spiccano i primi quattro brani, “Gangsta”, “Daft”, “King Of Fucking Beat” e l’eccezionale “Psycho Jesus”. Notevole anche “La nona”, più delicata. Se gli Anarcord sapranno lavorare bene per tirarsi fuori dalle secche delle nostalgie Nineties, potrebbero anche diventare una grande band. C’è questo rischio.
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