Sarà pure vintage, potrà risultare anche derivativo, ma il sound messo in tavola dai Black Malinois è un valido esempio di come la forma, se adeguatamente gestita, possa rivelare apici di sostanza
Eleganti, duttili ma versatili proprio come indicato dalla ragione sociale prescelta (il cane pastore belga), i Black Malinois vengono al mondo in pace ma con enormi bagagli di vitalità saggiamente covata sotto brillanti spoglie di gusto melodico e sana consapevolezza dei mezzi a propria disposizione.
C'è tantissima melodia, infatti, nella scelta stilistica strumentale sposata e portata diligentemente a compimento dal quintetto cesenate nell'omonimo lavoro d'esordio sulla media distanza, ma non si tratta affatto di una predisposizione votata a una semplificazione creativa fine a sé stessa. Anzi, il sound complessivo è tanto godibile e affascinante a primo impatto uditivo quanto ampiamente stratificato e, di pari passo, rivolto a una costante e genuina ricerca della progressione perfetta, di quel sapore agrodolce che sa di familiare ma, al contempo, rivolge lo sguardo a potenziali nuove sponde di un possibile mai del tutto fermo su specifiche convinzioni, aperto com'è al desiderio di lasciarsi intingere in soffici e aromatici mari esperienziali.
Chiamatela vintage, definitela derivativa, indicizzatela come più vi aggrada ma sappiate che in una forma che si rispetti c'è sempre un fitto retrogusto di sostanza. E qui di sostanza ce n'è da regalare, se è vero che un solido sguardo a sonorizzazioni psichedeliche 'seventies' può unirsi in felice matrimonio con pur soffusi elementi cantautorali delle migliori scuole internazionali, senza per questo rinunciare a sinuosi latinismi gradevolmente supportati da morbidi tappeti elettronici più di ambientazione complementare che di definizione strutturale (Umile), rispettosamente in sintonia con animosi spiriti semi-dream-brit-pop (Disco volante) o incursioni simil-floydiane dalle migliori intuizioni sia ispiratrici che identitariamente rivolte a sensibilità sperimentatrici notevolmente pseudo-morriconiane (la magnifica Il signor nessuno).
Non resta, allora, che lasciarsi travolgere dalla pura e assoluta bellezza blues-canterburiana sprigionata da sontuosi esempi di creatività mista a cuore (la soavemente accorata Soda), mentre tutto scorre verso anfratti notturni da abat-jour sinistramente sensuale (Carmen Roussoe) che sfociano in derive semi-psycho-prog di notevole impatto emozionale, perché quello offerto da un lavoro di simile caratura è dono prezioso per pochi eletti in ascensione verso una qualche forma di olimpo sia sensoriale che ideologico (Il trevigiano). Cosa non da poco, in verità.
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La recensione Black Malinois di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2023-11-08 22:05:50
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