C’è atmosfera da Natale invecchiato in questo disco degli You Should Play In A Band (progetto parallelo dei bolognesi Juniper Band), pini secchi, il freddo e una casa polverosa da mettere a posto. Desolazione. Sarà che parte somigliando a “Sea Change” di Beck – disco non proprio allegro – e continua a ballare su toni scuri e malinconici che ricordano i Franklin Delano. Un gusto alternative country americano che si sente in alcuni ritornelli e in alcuni suoni e un aspetto funereo simile agli ultimi Father Murphy. Fisarmoniche alla Beirut e, più in generale, un’anima vicina ai Neutral Milk Hotel o The Mountain Goats per come il folk viene mescolato al lo-fi. Quindi molte influenze, ma queste, appena messe insieme, scompaiono. Resta un suono indefinito, un’idea vaga, fantasmatica e suggestiva.
Di undici canzoni solo tre proprio non vanno: “Ropes”, cavalcata western un po’ scontata, “Cold Bodies”, pezzo tra l’indie e il post-rock poco convincente e “When You Dance I Can Really Love”, l’unica un po’ più rock e tirata, di maniera. Le restanti sono ballate delicatamente belle. Le due voci si intersecano, gli strumenti incedono lenti, ogni nota si sente ed è ben posizionata. Un quadro fosco ma intrigante. Ambienti bui ma molto romantici. Sarà pur un progetto laterale. Magari, non gli hanno nemmeno dedicato molto tempo. Magari molti dettagli si sono persi e non c’era, forse, nemmeno un’idea da cui partire e una a cui arrivare. Non importa. “Borders Of Love”, “Every Hour Wounds, Last One Kills”, “Our Beautiful Land” vi convinceranno di quanto scrivo. Perchè questo è un disco triste e romantico, lascia stupito per come arriva al nocciolo delle cose, diretto ai sentimenti. Davvero emozionante.
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