“L’equilibrio non basta” cammina su di un filo sospeso. Si contorce e soffre, riflette e prende coscienza di sé. Sempre su un filo, per evitare la strada più facile. Un filo che è praticamente impossibile da controllare, pronto a rompersi beffardo o a sbilanciare chi ha l’ardire di mettersi in gioco. Sarebbe stata questione di un attimo: perdere il controllo e cadere in abissi di prevedibilità e autocompiacimento. Sarebbe bastato poco e ci si sarebbe trovati in quel cantarsi addosso pomposamente lieve in cui boccheggiano da tempo i Tiromancino, ma per fortuna si viene invece immersi in quadri ancora più rattenuti e fragili dei fragilissimi film di Benvegnù.
E' in questo bivio che risiede il pregio maggiore dell’album: caratterizzato da sonorità eteree, arrangiamenti eleganti e liriche introspettive, la possibilità di crogiolarsi nel proprio guardarsi estatico era dietro l’angolo. Paolo Cattaneo riesce però ad evitarla, costruendo un disco che dosa ogni componente con il contagocce, con cura ed equilibrio rari. Vocalmente rimanda a tratti ad un Bersani più riflessivo o ad un Concato in libera uscita dalle proprie leziosità, mentre musicalmente si ascolta un intreccio suggestivo e affascinante, che, pur scorrendo parallelo al cantato e non amalgamandosi del tutto con esso, riesce a sostenerlo con efficacia e puntualità. Risaltano allora con delicata forza testi ispirati e mai banali, come quelli dell’iniziale e programmatica “Incastri” o della rarefatta “Neurovegetale”: parole piene di significato che camminano sopra le musiche con ”passi leggeri”. Con grazia e caparbietà, ovvero con ciò che serve a stare in piedi su un filo. O a realizzare uno dei migliori dischi di questo inizio d’anno.
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