Approda alla sua prima esperienza solista sulla lunga distanza Sebastiano Lillo, pugliese di nascita ma cosparso di stelle e strisce tanto nell'anima quanto su dita che saggiamente si destreggiano sulle sei corde rese punto focale per idee e rispettive traduzioni sonore. Avvia la sua esperienza in solitaria e lo fa nel migliore dei modi, tanto nella scelta di farsi supportare dalla prestigiosa Vision & Vitality Entertainment da Las Vegas – in collaborazione con la Trulletto Records di sua proprietà – quanto nella consapevolezza che una simile opportunità conferisce a una certificazione di concretezza espressiva di stampo universale e qualità capillare.
La matrice marcatamente blues che dona vita a un lavoro come Loving Duende è omogenea e decisamente evidente fin dalle prime battute a sipario aperto, ma interessanti e importanti sono le necessarie diramazioni sia compositive che magistralmente stilistiche in direzione ora di un sofisticato ma travolgente jazz-funk latineggiante di imprescindibile scuola oltreoceanica (Tostadora), ora di un ondeggiante pseudo-reggae in salsa morriconiana (Cat's house) quando non proprio in preda a ineluttabili fascinazioni folk-blues al sapor di western sommesso e sussurrato ma, al contempo, visceralmente intriso di fantasmi del delta e limacciose derive esistenziali (Loving Duende).
La chitarra, certo, è regina di ogni impostazione metrica, melodica e contenutistica, ma la forza del trio (Dado Penta al basso e Teo Carriero dietro le pelli) è coerentemente espressa e portata a compimento attraverso una chimica globale di grande impatto anche nei confronti di un rock blues portato coscienziosamente al di qua dei confini spaziotemporali (Feelin' like sheep), così come la predilezione fingerstyle acustica emerge a gran voce per trascendere ogni rischio di distacco emozionale grazie ad atmosfere complessive che quello spazio e quel tempo lo smantellano, lo dilatano, lo attorcigliano e lo ricompongono a proprio personale piacimento, sempre coi demoni del Mississippi in spalla a far da guida nel buio pesto delle più coscienziose intuizioni (Shaman from south-east).
Si torna su binari prestabiliti sulla scia ispiratrice un po' Allman Brothers folgorati da scampoli di bossa nova (Babylonya) e un po' sorprendentemente incline a fascinose elucubrazioni simil-cubane (Summer stove), ma la sostanza definitiva viene ampiamente marchiata anche da escursioni pseudo-mariachi (Agua santa) che mettono l'accento su pur flebili ammiccamenti psichedelici (I wish I was a whale) che nulla tolgono – semmai aggiungono – a un lavoro complessivo di considerevole gusto e indiscutibile talento creativo.
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