Until We Fossilize era il congelamento delle strutture più pure del folk pop americano, trasportate da una voce sempre possibile, e da pochi strumenti e suoni assemblati alla perfezione. Era una piana commovente e delicata, una lastra di ghiaccio dallo spessore minimo, sul quale era proibito camminare, per non mandarla in mille pezzi. Ma in due anni le cose cambiano, e cambia sicuramente l'anima compositiva di una persona così attenta al suono come è Marta Del Grandi.
Creare antitesi nelle proprie produzioni - senza stravolgersi in alcun modo - è una qualità che pochi artisti hanno, ma in un certo senso Selva è la versione antitetica del suo predecessore. Selva è un disco che gode della forza del viaggio come sorgente creativa, è un disco di movimento - non certo frenetico - che crea una rottura con la contemplazione ermetica del passato. Laddove Until We Fossilize era minerale, Selva è organico, vive della vita degli elementi naturali e botanici, senza le idealizzazioni insopportabili e tipicamente italiane della natura, della vita di campagna.
Bisogna andare - forse andarsene -, separarsi, dalle cose e dalle persone, cambiare sembianze e ammettere di essere cambiati, di aver lasciato parti di sé nel mondo per averne assunte di nuove. Chameleon Eyes, ballata al limite del commovente, introdotta da basso e voce e poi sviluppata con una danza di strumenti a fiato, è il paradigma di questa dozzina di brani insolitamente dialogici, dove l'io narra attraverso le parole rivolte a qualcuno di esterno. Facile parlare di atmosfera, quasi banale forse, ma l'arrangiamento totale di Selva gioca proprio sul concretizzarsi dei suoni, sulla ricercatezza con cui gli strumenti entrano a comporre paesaggi, spesso autunnali. Snapdragon e Polar Bear Village sono due esempi perfetti di questa somma, spesso culminante con momenti di calore inaspettato, che invitano alla danza.
Dentro questo muoversi continuo di suoni è sempre la voce di Marta a dettare i tempi, e i modi, della sua musica. Voce che si spinge fin dove può, anche dove non sarebbe il caso andare, ma se si ha uno strumento che senso ha non provare a usarlo in tutti i modi? E attraverso il canto si arriva a trasmettere parole mai così a fuoco come in Good Story, perchè la musica non deve dare risposte, guai a crederlo. Con la musica si racconta, in questo caso storie, e una dichiarazione cantautorale così netta era difficile aspettarsela. Così come arriva inaspettata la manciata di versi in italiano di Selva, brano avvolto da una trama sonora raffinatissima.
La scrittura di Marta Del Grandi rimane ancorata al mito, sempre più trasfigurato, sottilmente presente sotto forma di singole immagini, singoli elementi. La quercia, la bocca di leone, sono protagonisti viventi, punti di vista con cui la cantautrice apre porzioni della sua interiorità, raccontata in modo sincero, nonostante la forma curatissima delle parole. Non a caso sulla cover del disco c'è il suo volto, seppur sfocato e distorto nelle tonalità del rosso pesca. Un invito a lasciarsi accompagnare profondamente dalla musica di un'autrice che un passo alla volta sta regalando grandi cose a un panorama musicale che ha sempre più paura della ricerca. Selva è una perla, ascoltiamolo con cura.
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