Marino Josè Malagnino, boss delle Produzioni Pezzente, te lo immagini come un serioso signore sulla cinquantina, dedito alla promozione di musiche oscure e per iniziati. Invece poi lo conosci, ed è uno scugnizzo brindisino che sa di Masaniello (non me ne vogliano i pugliesi per i paragoni con gli amati/odiati napoletani). Uno che non sta neanche troppo distante dal feudo di Albano, ha l’aspetto di un bel tarantato dalla pelle lucente e poi ti produce dischi di musica concreta, di solito pure interessanti. Guarda un po’ la vita. Sto disco presenta gli esperimenti sonori della lituana trapiantata in Veneto Agne Raceviciute, “qui intenta a suonare il tornio da ceramica della madre”, come recitano le note del disco. “Il punto di contatto tra la musica e la giornata lavorativa, dove il ‘semplice’ quotidiano viene trasformato in visioni psichedeliche e malinconia”, informa sempre Malagnino. E ha ragione, per Dio!, se ha ragione! Come ha scritto qualcuno, non è disco da far sentire a un operaio. Il che spiega perché gli intellettuali amino talora abbandonarsi a simili visioni sperimentali e i proletari preferiscano Biagio Antonacci, in una sorta di riequilibrio yin e yang delle proprie esistenze. La cosa importante qui è però che Agne Raceviciute riesce a trasformare a tratti il rumore in musica. Senza campionamenti, senza pentagrammi o spartiti. Solo con le sue manine sante. Il senso? Forse “il lavoro nobilita l’uomo”. Interessante, ma solo per appassionati. E intellettuali, of course.
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La recensione s/t di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2007-01-09 00:00:00
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