Brucherò nei pascoliPalo2023 - Rock, Rap

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Il primo disco del duo milanese è una lotta di sopravvivenza tra sguaiatezza e dolcezza, cori da stadio e cuori spezzati, il tutto immerso in un birrone da 66

Sono andati a citofonare a casa di Edoardo Bennato, in tenuta antisommossa, lo hanno interrogato chiedendogli cosa sapesse del caso Moro, chi ci fosse dietro insieme alle BR. Tutto un bluff, qualcuno aveva fatto avere alla stazione di Polizia di Bagnoli il testo di Renatino, brano a dir poco geniale dei Brucherò nei pascoli, i fondatori della Repubblica del caos.

 Il loro primo disco, Palo, nasce dall'EP Ghicci Ghicci, a cui è stata aggiunta Montreal, uscita un mesetto fa, più altri quattro pezzi tutti da gustare, divisi tra cori da stadio e cuori da spezzare. Del rap primordiale da cui provenivano Davide e Stefano è rimasto ben poco, nella forma almeno, perché Palo sembra essere la parabola di ribellione di una crossover band degli anni '90, che mano a mano si emancipa dall'ossessione del "ruock", dai suoni cattivi e dalle barre acide. L'approdo è in un territorio dove la musica è fradicia e disperata allo stesso modo, ma c'è spazio per la dolcezza, sputata fuori ad intervalli irregolari.

Piccoli fuochi è in questo un mini gioiello di sguaiatezza, un inno di cani bastonati che ululano e fischiano alla luna, quando la luna è libera di trasparire dalla nebbia fitta. Ma forse ancor più sorprendente è la traccia successiva – che completa un dittico a sé stante dentro la tracklist – Lambretta, una ballata uptempo, un tentativo commovente di mostrare le proprie vergogne al suono di "Brava/ Porca di quella puttana". Il flow è classico, ma è denso di racconto, è profondo e meno sarcastico, improvvisamente e senza preavviso.

Palo è un disco difficilmente inquadrabile, un disco che trabocca necessità espressiva da ogni poro, e in questo pecca di disordine e mancanza di omogeneità. Ma è un peccato che si può accettare senza storcere il naso, perché basta prestare la giusta attenzione anche a quei pezzi che sembrano più deboli, come Pascoli, per rendersi conto perfettamente di come questi due soggetti non facciano le cose a caso. "Guardarci in faccia è così strano/ Ma è quello che ci resta", sembra la formula per sopravvivere in una città disumanizzata come Milano. E sia ben chiaro, la sopravvivenza non è assicurata.

L'ascolto di Palo ci lascia così, in mezzo alla strada, un po' sudati, un po' emozionati, con le orecchie indolenzite e una strana voglia di cantare. Perché i Brucherò nei pascoli fanno cagare, ma anche riflettere, ma anche piangere, ma anche tremare, ma anche godere. E va bene così.

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La recensione Palo di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2023-10-27 00:00:00

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