In ‘Doxa’ sembra di sentire una band crossover di qualche anno fa, ben radicata in un’estetica horror shock alimentata a rabbia sociale e misantropia, con un linguaggio sonoro nu metal e un’attitudine “aggiornata” alla scrittura e all’approccio vocale più vicino all’universo trap. Segue quindi un attimo di sorpresa quando si scopre che al nome Arkitekt non risponde una band anni 2000 invecchiata bene, ma un progetto che non solo è nuovissimo, partorito giusto nell’inverno 2022, ma che fa anche capo a una sola testa è un solo paio di mani, quella della cantante e producer Niccolò Capozza, classe ‘92, si tiene abbastanza lontano dall’archetipo del beat trap metal che ha trovato più diffusione al confine tra la declinazione hardcore della trap e il revival del crossover negli ultimi anni, utilizzando invece un approccio ipertrofico, stratificato e suonato.
Nelle 11 tracce di ‘Doxa’ troviamo i classici riffoni chuggosi, il drumming pompato, con la doppia cassa e l’abbondanza di fill alla Joey Jordison, convincenti sovraincisioni in growl e scream, infine una presenza elettronica funzionale sia alla costruzione dei drop, sia ad arricchire lo scenario con influenze dubstep, anche queste molto 2010 ma ben inserite.
Sfruttando la solida base strumentale e gli overdubbing vocali, Arkitekt si lancia con un mezzo rappato molto meno testosteronico del contorno, acido, urgente e a tratti isterico, dipingendo apocalisse zombie, scenari di degrado morale, disagio mentale e nichilismo. Tutto è comunque abbastanza derivativo, dall’estetica ai testi, ma convincente, ben confezionato e soprattutto bello peso. Per fan del genere, o generici rabbiosi.
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