Da Genova al Messico in prima classe. In un giro larghissimo (e non sempre necessario, ma condotto con stile ed eleganza) che dai Balcani incrocia in una sghemba rotta verso i Caraibi. E che porta dunque con sé, in dotazione, l’arzigogolata attrezzeria dei cantori della world-music: polka e mariachi, sonorità tex-mex e southern rock, ballad sferzanti ed echi popolar-cantautorali nostrani (e no) impacchettati da un’attitudine compositiva decisamente cinematografica.
Mi sembra un po’ eccessivo scomodare nomi incitabili, da Morricone e le sue indimenticabili colonne sonore alla voce incatramata di Tom Waits fino al pontefice italiota Capossela: servono però per rendere l’idea del polveroso panorama in cui – almeno per buona parte del disco - si muove Sirianni. E quindi vanno presi coi guanti da giardinaggio. A tutto ciò, però, il cantautore genovese aggiunge quel tipico e tagliente disincanto che si porta in eredità dalla sua città natia: lo mette, quel poetico cinismo, nelle filastrocche (“Liberaci dal mare”) e nei testi che parlano di “fumi alcolici e barman seduttori”, di “cerveza e margarita”, di ubriachi, tatuati, barboni (“Monsieur Dupont”), di Sudamerica e di scavezzacollo “border-line”. C’è anche altro, più soffice: “Melodia per occhi stanchi”, per esempio: amori e addii.
E’ dunque un dignitosissimo ed eclettico paroliere, prima che compositore: riesce a mettere – anche se non sempre - nei suoi pezzi un sapore metallico disincantato che così bene band come i Cappello a Cilindro (senti “Alle 7 della sera”) sono riuscite negli ultimi anni a codificare. Insomma: un disco – e una musica - da premio della critica a Recanati.
Detto questo, e detto pure che Sirianni è uno che merita rispetto perché il disco è molto bello, suonato alla perfezione, cesellato fino all’ultima mezza nota che esce dai tanti strumenti messi dentro e che esalterà chi adora questo non ben precisato (e a noi un po’ alieno, diciamocelo) melange south-western-blues-world-tex-mex (?) cantautorale, rimane – ma qui passo alla mia considerazione personale – il dubbio, o meglio la domanda, l’insondabile cruccio: perché questi dischi mi lasciano freddo come il bisturi di un chirurgo norvegese?
Forse non li sento miei. Forse pretendono di mettere dentro “troppo”, e alla fine l’identità serve sempre, altro che relativismo sonoro. Forse, semplicemente, ne sento troppi che aspirano a piazzarsi in un territorio indecifrabile e quindi ogni artista è una storia a sé, che sembra rimandare a tutti gli altri e non rimanda a nessuno. In un tessuto che – come accade in Sirianni – a tratti ti commuove e a tratti ti lascia gelido come un pupazzo di neve. Misteri.
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