Federico Sirianni
Dal basso dei cieli 2006 -

Dal basso dei cieli
23/01/2007 Scritto da Pseudo

Da Genova al Messico in prima classe. In un giro larghissimo (e non sempre necessario, ma condotto con stile ed eleganza) che dai Balcani incrocia in una sghemba rotta verso i Caraibi. E che porta dunque con sé, in dotazione, l’arzigogolata attrezzeria dei cantori della world-music: polka e mariachi, sonorità tex-mex e southern rock, ballad sferzanti ed echi popolar-cantautorali nostrani (e no) impacchettati da un’attitudine compositiva decisamente cinematografica.

Mi sembra un po’ eccessivo scomodare nomi incitabili, da Morricone e le sue indimenticabili colonne sonore alla voce incatramata di Tom Waits fino al pontefice italiota Capossela: servono però per rendere l’idea del polveroso panorama in cui – almeno per buona parte del disco - si muove Sirianni. E quindi vanno presi coi guanti da giardinaggio. A tutto ciò, però, il cantautore genovese aggiunge quel tipico e tagliente disincanto che si porta in eredità dalla sua città natia: lo mette, quel poetico cinismo, nelle filastrocche (“Liberaci dal mare”) e nei testi che parlano di “fumi alcolici e barman seduttori”, di “cerveza e margarita”, di ubriachi, tatuati, barboni (“Monsieur Dupont”), di Sudamerica e di scavezzacollo “border-line”. C’è anche altro, più soffice: “Melodia per occhi stanchi”, per esempio: amori e addii.

E’ dunque un dignitosissimo ed eclettico paroliere, prima che compositore: riesce a mettere – anche se non sempre - nei suoi pezzi un sapore metallico disincantato che così bene band come i Cappello a Cilindro (senti “Alle 7 della sera”) sono riuscite negli ultimi anni a codificare. Insomma: un disco – e una musica - da premio della critica a Recanati.

Detto questo, e detto pure che Sirianni è uno che merita rispetto perché il disco è molto bello, suonato alla perfezione, cesellato fino all’ultima mezza nota che esce dai tanti strumenti messi dentro e che esalterà chi adora questo non ben precisato (e a noi un po’ alieno, diciamocelo) melange south-western-blues-world-tex-mex (?) cantautorale, rimane – ma qui passo alla mia considerazione personale – il dubbio, o meglio la domanda, l’insondabile cruccio: perché questi dischi mi lasciano freddo come il bisturi di un chirurgo norvegese?

Forse non li sento miei. Forse pretendono di mettere dentro “troppo”, e alla fine l’identità serve sempre, altro che relativismo sonoro. Forse, semplicemente, ne sento troppi che aspirano a piazzarsi in un territorio indecifrabile e quindi ogni artista è una storia a sé, che sembra rimandare a tutti gli altri e non rimanda a nessuno. In un tessuto che – come accade in Sirianni – a tratti ti commuove e a tratti ti lascia gelido come un pupazzo di neve. Misteri.

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