Sembra quasi un taccuino di appunti presi al tramonto seduti su una spiaggia solitaria e deserta di fine estate Reworked auttakes, il nuovo notevolissimo lavoro in studio dell'italo-svizzero Davi 'Autune' Vale, eppure risulta così evolutivamente stimolante e completo da destare prima sorpresa e poi consapevolezza di avere a che fare con qualcuno e con qualcosa di magistralmente vitale quanto a bagaglio creativo e ferrea volontà di mettere sonoramente in pratica desideri, ossessioni, ricordi, immaginazioni e salutari stati di allucinazione.
Pur essendolo dichiaratamente nella sua natura primigenia (i brani che lo compongono sono prevalentemente b-sides del precedente Komorebi del 2022), Reworked auttakes non è affatto un disco di scarti nel vero senso della parola. Traspare fin da subito, infatti, la magnificenza di certe aperture orchestral-ambient perfettamente in sincrono con ritmiche drum'n'bass necessarie a mantenere viva la pulsazione electro-oriented ma, al contempo, di fondamentale supporto a una concezione melodica ampiamente sviluppata e rivolta alla ricerca di atmosfere e suggestioni emotive tanto corpose quanto delicate nella loro essenza più profonda, fatta anche di soavi semi-dissonanze pianistiche che lasciano sfociare una fetta di sostanza anche su derive sorprendentemente jazz-lounge (Iberomok). Sono tutti punti di partenza per viaggi tanto onirici quanto concretamente pulsanti sotto la pelle solida e vivissima di fraseggi ambient-techno e IDM di elevatissima caratura (Story of an apple), volentieri in matrimonio con incursioni rivolte verso alcune delle varie splendide anime di un Sakamoto in epoca d'oro o del Susumu Yokota del capolavoro Sakura (Birdwatching).
La predilezione per techno e drum'n'bass si fa ancora più viva nelle spigolature tendenti a un semi-free-jazz fiatistico neanche tanto 'lo fi' nella concretezza delle proprie specifiche capacità espositive (No paper in plastic), ma è un sottilissimo e ammirevolmente sofisticato amore per la melodia a rendere ancora meglio il contrasto tra ruvidezza ritmica e ampia capacità di sintesi affidata anche al considerevole tatto di un simil-blues acustico (Lemon Balm Fëel) mai fuori luogo in un contesto così frammentato eppure così omogeneo nella resa concettuale definitiva (elemento cardine, forse, dell'intera concezione artistica – quando non proprio dello stare al mondo – del nostro in termini compositivi).
Forte e importante è la capacità di scomposizione e ricontestualizzazione (anche un po' in ottica vintage alla Jarre nella splendida Oh dear flower) di forme e percorsi istintivi che fanno del progetto Autune qualcosa di realmente efficace in funzione di un discorso a larghissimo raggio legato a ipotesi di futuribilità espressiva (seppur su basi note) e continua rivalutazione del dato creativo in sé. Cosa non da poco, se si considera la scarsezza di orizzonti sotto la quale tutti, un po' alla volta, crediamo di perire giorno dopo giorno.
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