Partenza dall'aeroporto internazionale Karol Wojtyła di Bari, uno scalo di qualche ora presso il San Pablo di Siviglia e poi dritti verso l'Oceano Atlantico: direzione New Orleans, la terra del jazz. È questo la rotta seguita da Marco Menchise a bordo del suo immaginario aeroplano ribattezzato Cicadas.
Nel suo primo album da solista, il chitarrista pugliese, reduce da molteplici militanze all'interno di progetti musicali come i THINKABOUTIT e collaborazioni con artisti del calibro di Maladé (batterista e session man di Ghemon), è un vero e proprio volo di linea capace di unire sonorità dal Vecchio e dal Nuovo Continente.
Otto tracce nelle quale Menchise, per la prima volta alle prese con il ruolo di band-leader di un'ensemble di musicisti che sanno dare del "tu" alla musica (e si sente), si diletta a creare una piccola pinacoteca di quadri dipinti con tinte musicali provenienti in primis dal bacino del Mediterraneo.
Un melting-pot sonoro, basato su lontani echi di taranta salentina (Compás) e flamenco sivigliano (He Did It) che si fondono in maniera armonica con le varie incarnazioni assunte dal jazz nella sua storia ormai ultracentenaria: dalla fusion (Maina) al latin (Cicadas) fino al jazz singing di Coco, pezzo nel quale Menchise, proprio come un buon leader dovrebbe fare, fa un passo indietro, dando ampio spazio a una notevolissima performance vocale di Angela Esmeralda.
Cicadas è un disco arioso, evocativo e ondulatorio che ha come trait d'union la sottile ma costante trama tessuta dal musicista barese con la sua chitarra. Un viaggio che, lasciandosi alle spalle il rumore delle onde e il frinire delle cicale del Mar Mediterraneo, esplora i vasti territori di un genere variopinto e maledettamente affascinante come il jazz.
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