"Don't care", seconda canzone di Clarence dei firecracker sia, penso, la cartina di tornasole dell'intero disco della band bolognese. Già perché è un vero e proprio pezzo-manifesto di un certo tipo di fare punk underground oggi e, soprattutto, di stare al mondo. Ago alla batteria, Marco al basso e Michele e Patrick alle chitarre si muovono come una sol cosa per donarci un album che magari non sarà il più rifinito e posato dell'anno ma che, di sicuro, ci fa capire come ogni tanto sia bello tornare alle origini.
Alle origini di un punk più sincero e genuino, dove l'unica che conta è quello di stare sopra ad un palco a fare quello che più ti piace, ovvero suonare, suonare e ancora suonare. Il disco si perde, un pochino, verso il finale, con un paio di momenti a mio avviso un attimo meno centrati ma, sul serio, si tratta di problemi di poco conto. Uscito nel bel mezzo dello scorso agosto, ce l'eravamo un po' perso, è vero, ma averlo recuperato è stata cosa buona e giusta. E ci ha messo un sacco di voglia, anche in redazione, di andarli a sentire dal vivo i firecracker: per urlare e sudare sottopalco, come una volta, come sempre.
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