Svelano velocemente ogni dubbio sulla loro natura i Muriel. Risoluti, di impatto, impeccabili nella resa sonora, con l’urgenza di dire, e di dire bene, e di praticare il loro genere senza badare alle sgridate del Tempo. Perchè ascoltarli è come svegliarsi con un decennio di troppo nelle orecchie, ma ci si sveglia comunque col piede giusto. Avvolti da forme pop-rock sempre rivestite con cura, da ritmi che stimolano l’orecchiabilità senza realizzarla mai, da strutture compositive equilibrate e naturali nonostante l’attenzione meticolosa nella scelta e nell’accostamento dei suoni. L’architettura sonora sorregge e nutre un modo di raccontarsi teso, colorato con le tinte delle stagioni che imprimono sulle parole sensazioni dirette quanto profonde di calore e di gelo. Si sentono i Perturbazione nelle aperture testuali e strumentali che sorridono con amarezza, o i Marlene Kuntz con la psiche meno sgualcita, e la famosa ipersensibilità di Paolo Benvegnù in veste di produttore artistico. Ma sono segnali che non predominano sulla forte sensazione di persistenza del carattere che i Muriel vogliono marcare e l’orgoglio di sostenere la propria identità.
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