Quello di Nino Scaffidi, siciliano classe 1977 all’esordio discografico, è apparentemente un cantautorato puro. Brani quasi recitati, racconti delle storie degli altri, arrangiamenti puliti e minimali guidati dalla chitarra acustica suonata in modo ultra-classico. Qualcosa di controcorrente, se confrontato agli sviluppi che questo genere musicale – se di genere si può parlare – ha avuto di recente. Nell’epoca delle commistioni, degli incontri del cantatutorato con l’elettronica, con il punk, con il rap – Nino Scaffidi offre quasi un ritorno alle origini.
Ad un ascolto più attento, però, non è esattamente così. Certo, gli elementi di cui sopra rimangono, ma A un pesce che esce non è soltanto il disco di un cantautore, che ricorda più la PFM e gli Area che Guccini o De Andrè.
Per iniziare, va certamente specificato che è un album complesso, che richiede tempo e dedizione per immergercisi e comprenderne i messaggi, o anche solo le intenzioni. I brani sono lunghi, articolati, costruiti man mano che i minuti scorrono. Sono pregni di significati, narrati da una voce perfettamente in equilibrio tra dolcezza e note aspre. Tuttavia, è un disco che sa trovare spiragli di contemporaneità, e per questo riesce a non risultare affatto antico. Un esempio lampante è la presenza di alcune piccole frasi, che per il modo in cui sono cantate e per il momento del brano in cui arrivano rimangono ferme in testa, e invitano a riascoltare, per essere sicuri di averne compreso a pieno il contesto. “Quando vuoi chiama anche solo per stare in silenzio al telefono” – in Conchiglie, il provocatorio “quando ancora la depressione non era una malattia, e si mandava via pregando la Madonna” di Ambarabaciccicoccò sono degli ottimi esempi. Le canzoni si susseguono fino ad arrivare a Da dove sto chiamando, un racconto dall'aldilà in un pezzo che è il migliore del disco.
In mezzo ai brani, sei “innesti”, frammenti, filastrocche, scherzi tratti da “Giochi di fanciulli”, un’opera radiofonica di Giorgio Pressburger - intermezzi perfetti per far sedimentare certe canzoni, mantenere la soglia dell'ascolto alta e per svelare il lato più ironico e irriverente del cantautore.
Che la soglia di attenzione degli umani si sia ridotta negli ultimi anni, lo dicono le statistiche. Pubblicare un album così in questo periodo storico è un atto di coraggio, ma è anche un'attestazione di fiducia, che esista chi ancora è in grado di ascoltare un album con calma, senza essere sopraffatto dalla FOMO e senza buttarlo via il giorno dopo, quando arriva una nuova novità.
Onore a Nino Scaffidi, che ci ricorda che per fare un certo tipo di musica ci vuole molto tempo (i pezzi sono stati scritti in più di dieci anni). Il minimo che si può fare, è dedicarne un po' del proprio a entrarci dentro. Non sarà tempo sprecato.
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