“You’re Gonna Carry That Weight”, dovrai portare quel peso: una sentenza ineludibile sul doversi caricare sulle spalle il proprio passato, e che non a caso arriva in chiusura di quel capolavoro esistenzialista dell’animazione nipponica che è “Cowboy Bebop”. Il fatto che Daniele Tommasini, producer di stanza a Trento, abbia deciso di scegliere proprio questa frase come titolo della sua nuova uscita non è quindi una circostanza da ignorare.
L’intero ascolto del disco è infatti attraversato da quel fardello a cui fa riferimento il titolo: è un macigno pesante ma indefinito, per certi versi analogo a quello rappresentato da Burial con “Burial” e “Untrue” – e non è un caso che i riferimenti al producer inglese siano piuttosto riconoscibili in tracce come “Within/without” e “Silent Battles”. Esattamente come nella hauntology di cui Burial è diventato involontariamente portabandiera, il peso di “You’re Gonna Carry That Weight” è fatto di rimpianti per futuri mancati, di pieghe che il passato non ha mai preso. Una silenziosa condanna che tutti noi ci troviamo ad accettare come condizione indissolubilmente legata alla nostra stessa esistenza: il fatto stesso di trovarci in una determinata configurazione spaziotemporale implica la (non-)esistenza di infinite altre possibilità, private del privilegio di potersi concretizzare. La musica di Tommasini diventa quindi colonna sonora di questa inevitabile realizzazione, con un disco che gioca a metterla a nudo, strappandola dal limbo di nebulosa ed esitante consapevolezza in cui inconsciamente la releghiamo al fine di preservare la nostra serenità esistenziale.
Ma “You’re Gonna Carry That Weight” non si limita a sbatterci sadicamente in faccia una realtà scomoda. Ci offre anche una via per sopportare questo peso. Se è vero, infatti, che questa condizione accomuna tutti, riuscire ad accettarla e ad abbracciarla interamente può renderla più sopportabile e risanare una frattura altrimenti destabilizzante. Per farlo non rimane che immergersi nel flusso della musica di Tommasini. Apprezzare il fatto che è proprio questo peso ad averci trascinato tanto a fondo da finire in un club inghiottito dall’oscurità, persi tra i suoni del producer trentino. Non c’è nessuna luce verso la quale riemergere, ma è nella catarsi del buio, dopotutto, che si può danzare liberamente.
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