L'universo musicale di Cuperose si basa sulla dolcezza e sulla fragilità del suo autore, ma poi si spalanca su mondi feroci ed elettronici, distorti e ben congegnati. Un grande esordio
Se è vero che l'apparenza inganna, per quanto riguarda Cuperose, musicista e produttore - e anche cantautore - catanese, l'apparenza non va quasi per nulla considerata, lasciata da parte ad appassire. Perché Andrea Privitera potrebbe sembrare sulle prime un cantautore malinconico e nulla più, un figlio di Elliott Smith che cerca di inseguire le orme del padre artistico, ma visto che la superficialità sta diventando sempre più una legge nell'analisi di qualsiasi prodotto artistico, almeno in italia, vale la pena di andare in profondità, per accorgersi del mondo sotterraneo nascosto da Cuperose, nel suo omonimo disco d'esordio.
Che poi basterebbe solo andare oltre la prima traccia, ma va bene lo stesso. La coltre acustica viene subito infranta per lasciare spazio ad un universo musicale che fa della dolcezza solo il suo punto di partenza, ma che attraverso distorsioni ed elettronica raggiunge punti di ferocia invidiabili. E si tratta di ferocia spontanea, un moto naturale di emissione sonora che accompagna una voce sabbiosa, esaltata da un difetto di pronuncia che ne diventa fiore all'occhiello.
Tutte le influenze sono rimescolate da Privitera in un calderone emotivo ma non intimista, dove trova spazio il Thom Yorke più riflessivo, l'oscurità di un indie rock dalle tinte sintetiche, i maestri dell'elettronica grigia e urbana come Four Tet e Burial. Si tratta solamente di passaggi, di piccoli furti stilistici, presi e messi in gioco nella propria musica con la sola ottica dell'utilità.
In questo Cuperose è un disco spietato e calcolatore, ma è giusto che lo sia, perché calibra tutti i colpi sparati, e soprattutto raggiunge un equilibrio raro da trovare in giro negli artisti emergenti. C'è la giusta dose di malinconia, che non porta nemmeno lontanamente al piagnisteo, c'è quel pizzico di consapevolezza che deriva da gusti musicali ricercati e modaioli, ma questo non è mai percepito come un peso, come una menata. C'è soprattutto una penna che gioca a nascondersi sotto i suoni di cui si circonda, per sbucare fuori nei momenti più inaspettati, per regalare classici momenti-canzone per niente scontati, come dimostra Verde Panda, ballata acustica che funziona alla perfezione, che parla di una macchina orribile senza creare alcun "effetto 2016".
Nella scrittura di Cuperose gli oggetti valgono davvero come parole concrete, non come chincaglieria da collezionismo, perché a furia di accumulare le mensole si sfondano. Molto meglio parlare di qualcosa, prima di tutto - e soprattutto - di fragilità, il nucleo, il cuore pulsante di un disco che nel suo essere multiforme prova a far brillare ogni strumento della stessa luce, bianca e azzurra. Un'iniezione di musica intelligente, un altro colpo vincente di Tempesta Dischi.
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La recensione Cuperose di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2024-01-19 00:00:00
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