Uno degli ultimi baluardi dell'alternative music, anche se rimodulata ed evoluta per un viaggio in sonorità perdute e testi diretti e disincantati.
Spoken Unsaid è il nuovo lavoro di Gioele Valenti, in arte Herself, artista palermitano di lungo corso ed esperienza.
Si tratta di una raccolta di otto brani di pop alternativo con derive folk e un grande lavoro di sperimentazione.
Si inizia con Nostos Algos ed è subito chiaro all'orecchio che ci si sta immergendo in un ascolto unico e particolarissimo. La sonorità è funerea e conturbante, grazie ad un'unica frase ripetuta di violoncello.
My Pills con chitarra acustica e due voci armonizzate molto filtrate sulle frequenze medie vede l'aggiunta di una batteria che da colore e da basso e archi a completare l'arrangiamento su un testo d'amore disincantato, anzi concluso.
San Francisco Bay si presenta in una veste più pulsante, dove la cassa in quarti offre più movimento. Bella la voce sgranata e carica d'effetti d'ambiente che però rendono le parole difficili da comprendere in alcuni punti.
Soul vede l'ingresso in scena della chitarra elettrica che arpeggia ancora su una cassa in quarti. Anche qui si gioca molto con la ripetitività della frase melodica della voce, dell'arrangiamento che vede un bel raddoppio di chitarra acustica molto aperta nel panorama stereo e che segna il passaggio da un modulo della canzone a quello successivo. L'insieme risulta quasi psichedelico, sicuramente ipnotico.
We Were Friends tiene ancora su la parte ritmica con suoni elettrici più acidi e presenti ma con sonorità comunque dark e notturne. Si sente un grande lavoro di ricerca dei suoni giusti, anche riguardo agli effetti delle voci, sempre armonizzate alla perfezione. Elegante la coda finale.
Sand recupera il suono acustico delle prime tracce ed è una ballata con voci cavernose, sia in quanto a profondità che per quantità di reverbero. Il problema di questo modo di effettare le voci è che, se da una parte diventa caratteristica stilistica, dall'altra parte sacrifica spesso l'intelligibilità delle parole, così la fruizione rischia sempre di diventare faticosa. La fortuna è che il flow del testo è abbastanza lento e strascicato e così in qualche modo il significato rimane in qualche modo a galla.
Disaster Love parte con un fade in d'altri tempi che ci proietta in mezzo ad un arrangiamento già in corso d'opera, con un arpeggio reiterato di chitarra acustica e maracas ben presenti. La voce si mantiene sullo stesso mood e la canzone scivola via grazie anche all'ingresso della grancassa e allo svuotamento dell'arrangiamento nei ritornelli.
Si chiude con TvDelica, la canzone più aggressiva della tracklist. Batteria, basso e chitarra hanno un bel piglio rock/blues e la voce diventa totalmente filtrata sulle medie e totalmente immersa nel mix. Anche qui si gioca con i vuoti e i pieni arrangiativi per scandire i passaggi di modulo costruttivo della forma canzone. Un bel finale adrenalinico per un disco che rimane comunque ad un tasso molto basso di bpm.
In conclusione Spoken Unsaid è un disco con le idee chiare, con sonorità studiate in ogni minimo particolare e con ogni nota al suo posto. Difficile da catalogare al livello di mainstream perché semplicemente non ne fa e non ne vuole far parte. Si sente il bisogno di discostarsi da pose e cliché del pop commerciale, così come del rock da grandi platee. Si tratta di un disco che vuole continuare a coltivare la propria nicchia con entusiasmo ed orgoglio. Ottimo il lavoro di balance e di mastering, che restituiscono un prodotto bello da ascoltare, quasi vellutato. Un piccolo gioiello che farà felice chi avrà avuto la possibilità di ascoltarlo.
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La recensione Spoken Unsaid di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2024-06-22 03:00:15
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