Elettronoir
#102006 2007 - Rock

#102006

Ipotesi dal mondo. Conoscevamo le doti di Elettronoir accampate su binari di macchine basiche e liriche morbose, da fotoromanzo che aveva scelto come icone tutelari gli anni di piombo e Gian Maria Volonté. Frammenti di passato preservati nel ghiaccio e riportati alla luce in un laboratorio claustrofobico, infusi con l’umanità vocale di Grazia Lucchese –che già purtroppo non fa più parte del gruppo, come passa il tempo.

“#102006” è un film in seconda visione, su cinque tracce una è autoremake e due sono cover: eppure il quadrante risulta centrato e sufficientemente originale, nonostante al fondo del bicchiere sguazzino partiture estetiche da elettronica povera di seconda mano ed incessanti, riconoscibili letture. Un po’ meno baustellico del primo, nonostante Rachele si presti all’ottima rilettura in lingua di “Mad world” dei Tears for Fears (“Mia madre si arrendeva alla maestra / suo figlio in classe non parla, si isola”): il guado fra studenti secchioni e maturi protagonisti è quasi oltrepassato, la più parte sta ormai sull’altra riva.

“La dolce vita” continua ad essere il brano-sciavadà di massa su cui puntare anche dopo la riuscita plastica facciale (“Pensa se poi venissero a seppellirti di domande, a dirti veramente cosa sono”, De André non ne sa niente?), “Laika” commuove nel ricorrere a latenti battiatismi che velocizzano l’ascesa/i nel cielo dei robot giapponesi, “Sciarti” scansiona fotogrammi New Order e crisi wave, “Memorie di una testa tagliata” non aggiunge granché a luci ed ombre di un lavoro giocoforza di passaggio.

Elettronoir non è tuttora esente da difetti e limiti: troppa enfasi e nasalità nel cantato, le lacrime sono cercate, le soluzioni offensive ristrette e magari prevedibili, strumentazione scarna e obbligata. Però la stoffa c’è, l’evoluzione è significativa e le prospettive assai interessanti: se non scoppieranno rivoluzioni, se non si perderanno (pezzi), se il fragile equilibrio reggerà, sapranno regalare finalmente un gioiello non pomposo.

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