Rieccoli, i Perturbazione. Da sempre cantori della laterale centralità delle piccole cose, non cambiano approccio al fatidico momento del passaggio su major. “Pianissimo Fortissimo” si inserisce infatti pienamente nel percorso del gruppo, andando a configurarsi come una summa di quanto fin qui mostrato, riuscendo a miscelare la freschezza testuale di “In Circolo” con le malinconie sottili di “Canzoni allo specchio”.
Un disco di piccole cose, come detto, che parte da basi musicali già note e rodate per mettere a punto un immaginario del tutto personale, affinato brano dopo brano nel corso degli anni e mai così a fuoco. Perché i Perturbazione sono un gruppo con coordinate chiare e decise, riconoscibili al primo ascolto (anche solo per la voce unica e fragile di Tommaso Cerasuolo) e con un portato identitario fuori discussione. E allora ritornano le minime vicende di quotidiana insicurezza che si sciolgono in interrogativi autoformulati, struggenti perché la loro stessa messa in parole implica l’inesistenza di risposte compiute (“Battiti per minuto” o “Qualcuno si dimentica”). Oppure le visioni dotate di uno sguardo poetico alla Gondry, capaci di tagliare trasversalmente l’immagine di ciò che ci circonda e di mostrarlo da un filtro peculiare e rifrangente (“Leggere parole”, che ribalta e potenzia l’assunto di “Fahrenheit 451”). O ancora l’angoscia strisciante di non riuscire a declinare il tempo come il proprio tempo (“Nel mio scrigno”, “On/off” e soprattutto “Brautigan”).
Il tempo è il filo rosso che si snoda lungo l’intera produzione del gruppo, dimensione in costante e cangiante amalgama con le molteplici e mai banali declinazioni del tema d’amore. In questa capacità di non ripetersi, pur restando nel medesimo solco, si attesta la grande abilità dei Perturbazione, che realizzano il loro disco più compiuto, brillante cristallizzazione di ciò che sono. “Pianissimo, Fortissimo”, ovvero la delicatezza dei suoni con un’emotività a fior di pelle. Un album caldo e freddo, spietato e rassicurante.
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