Un'interessante autobiografia in musica che è anche documentario, ostica ma ricca di significato
È davvero difficile parlare nel dettaglio della musica contenuta in DeaR Tapes, 60 (sessanta) tracce in cui si avvicendano, ed è un elenco esemplificativo e tutt’altro che esaustivo, new wave, art pop/rock anni 80, echi bowieani e beatlesiani, inglese e tedesco, classica da vaudeville, sax e proto elettronica in cassa dritta. Più interessante, allora, provare a capire il contesto e i retroscena di un lavoro del genere, ed a leggere in filigrana, alla luce della sua origine storica e della spinta dietro la pubblicazione, un possibile senso ulteriore rispetto a quello di un’esperienza di ascolto sicuramente interessante, non priva di momenti di per sé molto validi, ma certamente ostica secondo tutti i criteri usuali. ‘DeaR Tapes’ è la raccolta di un decennio di lavori, un decennio fatto di primi approcci alla musica, appunti, bozze, prove, demo rifiutati dalla etichette.
Il decennio è quello degli anni ‘80 , il luogo è la Torino di quegli anni, un’ambiente florido da cui poi sarebbe venuto alla luce quello più noto del decennio successivo. Il protagonista è DeaR animatore della scena musicale torinese e membro di varie formazioni dalle alterne fortune la cui produzione però non ha nulla a che fare con questo lavoro. Una raccolta ostinatamente incontenuta e incontenibile, gargantuesca, che però ha tutto un suo significato di operazione archivistica trasversale, una memoria sonora personale che, come tutte le memorie personali, riflette qualcosa di più.
Le sessanta tracce sono un’elegia ad un percorso musicale individuale, una celebrazione che abbraccia i primi risultati, gli esperimenti come i fallimenti, uno sguardo onesto come solo gli sguardi complessivi possono essere; contemporaneamente, rappresentano il carotaggio di una data scena musicale per come riflessa in una produzione personale, un sezionamento che abbraccia un decennio di musica prodotta in uno stesso contesto. Inevitabilmente, diventano un manifesto DIY, una riflessione sulle possibilità infinite di condivisione della musica che abbiamo adesso (con buona pace della competizione brutale che accompagnava la favoleggiata età dell’oro delle etichettte), in cui ci piace vedere, più che un possibile intento autocelebrativo, l’aspetto diaristico e di testimonianza storica. L’autobiografia è uno strumento importante dell’autoanalisi e ‘Dear Tapes’ comunica questa potenza anche a chi non conosce il suo autore, invitandoci per un attimo in uno spazio personale da cui possiamo osservare anche il contesto che, a suo tempo, lo ha prodotto.
Chiunque faccia o abbia fatto arte e musica non avrà difficoltà ad immedesimarsi in quella spinta innegabile alla condivisione, in quella sensazione che la propria arte possa dire qualcosa, anche dopo molto tempo, anche a chi vive una realtà diversa, come un messaggio in una bottiglia, o anche solo come un qualcosa da consegnare alla luce per mettere un punto ad un percorso che si considera chiuso. ‘DeaR Tapes’ è un documentario ma è soprattutto la storia di questo percorso, un lavoro che ascoltato sotto questa luce comunica tanto e, a chi vuole avere orecchie per ascoltare, può insegnare molto sul rapporto tra individuo e musica.
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La recensione DeaR Tapes di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2024-07-31 23:36:00
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