Trasparente scuro. A Sparkle On The Dark Water, secondo album in studio dei Pinhdar, non suona solo come il titolo suggerisce: suona anche meglio. Il duo milanese composto da Cecilia Miradoli e Max Tarenzi si supera dopo l’ottimo Parallel (2021), loro album d’esordio, e lo fa rendendo il tutto, appunto, trasparente scuro.
Lo sono le parole di Cecilia, sussurrate piano ma gravi nel descrivere una realtà che è più un resistere che un sereno esistere. Lo sono le chitarre di Max, ora ipnotiche e delicate, ora minacciose e opprimenti. Lo sono gli arrangiamenti, coesi, solidi, ma mai pesanti, neppure negli episodi più claustrofobici di questo disco (Cold River, Murders of a Dying God). Lo è, infine, la produzione di Bruno Ellingham (Massive Attack, New Order), sempre ben focalizzata ma soprattutto capace di far emergere i punti di forza dei Pinhdar: eleganza in primis, trame strumentali memorabili impegnate in un rapporto di dare/avere con la voce trattata a sua volta come uno strumento con cui sperimentare e giocare.
Humans, singolo che ha anticipato l’album, è il riassunto più legittimo di questo splendido lavoro: qui convivono le atmosfere della dark wave con la costanza delle origini trip hop del gruppo, ma rimane spazio per le voglie orchestrali più cinematiche.
Gli ultimi due brani, Abysses e At the Gates of Dawn, chiudono il disco e il discorso che lo attraversa nel migliore dei modi: le chitarre sono ancora più limpide e trascendentali di quanto non siano già state, mentre la voce ci porta con sè dentro atmosfere in bilico tra il sogno e la morte, e per questo estremamente buie. “Darkness needs to be deep for the first stars to appear” cantano i Pinhdar, e non c’è manifesto più adatto di questo per descrivere un album completo e maturo, da ascoltare immediatamente.
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