Facile dire che un album strumentale come ‘Ausosa’, non facile da incasellare in un genere suona come una specie di colonna sonora; non crediamo, però, di fare un torto al polistrumentista catanese se parliamo del suo quarto lavoro a partire dal concept di cui è il commento sonoro, quello di uno scenario post-apocalittico in cui, però, diversamente da quanto accade nelle rappresentazioni classiche di quella visione, sembra ancora esserci spazio per speranza e riscatto. Un commento ad una narrazione di cui tocca, volendo, provare ad indovinare immagini e svolgimento, attraverso le atmosfere sonore che si succedono in un’alternanza senza soluzione di continuità di rock, fusion, elettronica, classica minimale, frammenti world e americana, dove arrivano echi lontani, ben distinguibili ma ridotti all’essenziale, di Pink Floyd, Moderat, Morricone e John Williams, Einaudi e Metheny.
Nello svolgimento delle nove tracce non mancano i bei momenti melodici (il ricamo classico di Bravado, il western Rides On) e ritmici (il funk sommesso e puntellato di percussioni di Eirene’s Flower, l’elettronica Jebel Sahaba), mentre a volte quello che sembra latitare è una direzione definita, Tra loop a perdita d’occhio, momenti solisti non troppo necessari e fade in e out inaspettati, è difficile trovare una vera coerenza a queste nove tracce e alla loro alternanza di linguaggi diversi, diverse qualità di scrittura, diversa attenzione ai suoni, se non nell’immaginaria carrellata di scenari e scene suggerite, con un po’ di fantasia, dalla musica.
D’altronde, sono proprio quei frammenti sonori, stralci di interviste, telegiornali, risate di bambino, che legano e inframmezzano le tracce, infilandosi in apertura, in chiusura, in mezzo (con più o meno grazie a seconda dei casi), a dare un senso ad una serie di passaggi altrimenti poco comprensibili, nello stacco tra mondi musicali diversissimi, nelle improvvise interruzioni della musica.
Ne risulta un ascolto dallo svolgimento particolare, dove a volte è facile perdersi ma dove, in fondo, si viene invitati a prestare orecchio alla narrazione più che alla composizione in sé, e alle sue eventuali lacune. Forse Di Mauro può ancora lavorare all’organizzazione e all’assemblamento delle sue (molte) idee, ma intanto è riuscito a proporci una narrazione interessante e più ambiziosa della stessa musica che la contiene.
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