“Ci vuol lo stomaco per reggere il concetto di perfetto / E che silenzio nelle facce chiuse in case di città / Chi non si tiene stretto il seme poi si piscerà nel letto / Immolatevi sul rogo alla spettacolarietà”.
Rock-blues massiccio e metropolitano, ad alto – altissimo - tasso incazzogeno. Dieci pezzi mossi e scossi proprio come i capelli di Folco Orselli, cantore ormai consacrato di quella Babele post-moderna che è la Milano di oggi, coacervo incarognito del Paese tutto. Popolata da personaggi a metà strada fra granguignoleschi (e tristissimi) spunti di follia e macabre messe in scena di mediocrità umana. Neosenegalesi, black block, turchi-negri-marocchini, modelline fatte ed ignoranti, battone vecchio stampo collo grosso e culo basso, sbirri, sguardi della gente, buttafuori che smascellano, “povera Milano in mano a dei coglioni / Di notte va a mignotte poi vota Berlusconi”.
Un quadro puzzolente e però a suo modo ricchissimo ed affascinante musicato a ritmo di (direi: power)-blues-funk, esce fuori dal disco di Folco. Che come un vecchio zio - si, proprio quello zio che abbiamo avuto tutti, dai: quello che ne sa ormai troppe e ti guarda col cipiglio del cinico disincanto - ti prede per mano e ti accompagna alla scoperta del ghigno osceno della Città. Che nessuno lo conosce, ma alla fine tutti sanno tutto.
E la passeggiata di Orselli fra i trucioli dei vizi contemporanei – propri ed altrui - è lucidissima, spietata, connivente pure, musicalmente paurosa – nel senso buono. Come una rete a strascico ramazza di tutto. La Compagnia dei Cani Scossi – i cui solisti hanno modo di sbizzarrirsi nelle tante finestre che la pastosa voce di Folco lascia libere (“Il Crogiuolo”, “Brazil”, “Jimmy Corea”) – fa più che accompagnarlo: ne sostiene l’intero impianto sonoro, lavora sugli arrangiamenti tentando di schivare la banalità di strutture che magari tenderebbero a replicarsi (“Jimmy Corea”). La stessa interpretazione – ruvida e potente, che quell’aria che inspira sembra sia la tua - non sarebbe la stessa senza quella travolgente sezione ritmica o quei fiati delicatissimi ma all’occorrenza muscolosi come trattori.
Certo: Folco Orselli è per quelli che amano il genere. Ma è più trasversale di quanto si potrebbe imprigionarlo con le solite, asfissianti etichette. Perché, come per ogni cantautore che prima di tutto scriva col sangue più che con la testa, il nocciolo del disco arriva immediato, subito, al primo ascolto. Poi dopo, si, ne parliamo, a me piace di più a me di meno. Rimane però innegabile una scrittura che vola alta, i giochi linguistici, gli acutissimi neologismi, la tensione a fare di ogni pezzo una storia – drammatica o comica, sempre sincera – a sé stante.
E poi il titolo dice tutto: MilanoBabilonia.
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La recensione MilanoBabilonia di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2007-04-26 00:00:00
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