Inizia tutto come nella miglior tradizione del pop contemporaneo, con un paio di singoli. Non di più, un giusto numero per far assaggiare un nuovo corso, con nuove e vecchie voci. Inizia tutto quasi nella medietas latina, senza sbracare o lasciar andare il pubblico in abbuffate fatte di mini ep anticipatori o cose simili. NON MI RICONOSCO, dopo due settimane RUGGINE, dopo altre tre il disco. Mace non è semplicemente un producer di riferimento per il pop italiano, è una macchina sonora, che viaggia e crea a immagine e somiglianza del suo vagabondare, “al bordo dell’universo”, direbbe Salmo in quella che non è la nuova LA CANZONE NOSTRA, ma un altro gran pezzone, affidato alla voce struggente di centomilacarie.
Poi si preme il tasto play e il velo cala, e MĀYĀ inizia a parlare una lingua che mai ci saremmo aspettati, più babilonica di qualunque previsione. Lo svelamento è crudele, del tutto senza pietà, perché prima di tutto mette alla berlina gli altri. La musica è un'arte che ha bisogno di respirare, di contaminarsi, di farsi oggetto d'errore e mutamento. Mace ha preso ventotto persone, grandi nomi del pop e del rap, nomi emergenti, gente di giri svariati, e gli ha fatto mettere da parte la stramaledettissima fomo, per conservare i tratti essenziali della musica di ognuno.
Accanto a Simone Benussi accadono cose strane, magiche o psicomagiche, o forse semplicemente quando ci si trova accanto ad un artista del genere è inevitabile produrre cose intrise di bellezza. Perché di questo si tratta, bellezza in forma più o meno pura, una serie di perle di pop music che sono semplicemente complete, tracciano linee marcate, aprono il cuore all'emotività che è la linfa vitale della musica popolare, si lasciano contaminare dalla miriade di strumenti che in MĀYĀ suonano e si rincorrono.
Basta citare i momenti più esaltanti per avere un chiaro esempio di quanto appena detto. L'incipit, VIAGGIO CONTRO LA PAURA, vede una Joan Thiele in stato di grazia e un Gemitaiz finalmente lontano da virtuosismi, romantico e melodicamente credibile. L'incontro tra Marco Castello ed Ele A in MENTRE IL MONDO ESPLODE è una dimostrazione di malleabilità da parte di due soggetti apparentemente distantissimi nei modi di fare musica. E poi ancora la conferma del momento d'oro di Altea, il ritornello "calcuttiano" cantato da Marco Mengoni - c'è forse lo zampino di Edo??? - in FUOCO DI PAGLIA, il lato gospel di Fulminacci a duello con Fabri Fibra nella drittissima MAI PIÙ. Venerus gioca invece la parte del maggiordomo, che fa gli onori di casa.
MĀYĀ è un disco di risvolti inaspettati che continuano a lavorare in modo sotterraneo, contro gli stilemi del pop che vogliono la seconda strofa uguale identica alla prima. Mace lavora come un architetto, sovverte le strutture, allunga le intro e accorcia gli outro, per poi lasciarsi andare in solitudine nella strumentale finale, un corollario preziosissimo, un monologo, forse solipsistico, che passa in rassegna da vicino tutte le gemme usate per il disco.
Con MĀYĀ Mace ha giocato duramente, forse più duramente che mai, con la credibilità del pop italiano. Se n'è preso gioco col suo tipico modo di fare, quello di chi sta semplicemente mettendo insieme le tessere di un puzzle musicale, naturalmente arrivato a quella forma. Ora che il pop è stato messo alla berlina dalla bravura di questo signore, il pop può restare in ascolto, studiarne, goderne, viaggiarne. Togliere il velo, per scoprire la verità.
Vedi la tracklist e ascolta le tracce sul player nella versione completa.