Captain Quentin naviga in un mare di suoni poco battuti. In presa diretta parte dalla danza fluttuante de "La bottiglia viola", dove scratch di chitarra tessono riff sinuosi, per approdare a "Certe cose determinate" in cui momenti rallentati vengono interrotti da treni decisi di note ad alta velocità. E si va avanti con altre tracce dal forte impatto epidermico (vedi "Rullante per un vicino"). Batteria straripante, chitarre affilate, le stravaganze di sinth e tastiere, le distorsioni di basso e sax. Cigolii di strumenti spremuti, martellati, che cercano di aggrapparsi ad una melodia. Tutto si interseca e un pezzo non è mai lineare ma scomposto e scomponibile, dilatabile, che si apre a mondi sconfinati e sorride armonicamente per poi snaturarsi di nuovo, rinchiudersi e agitarsi. Movimenti imprevedibili, mutazioni improvvise di tempi. Vibrazioni. Rumori. Dissonanze sparse qua e là. E quando l'abitudine prende il sopravvento si cambia direzione. Marce esuberanti e inattese frenate. Pulsazioni forsennate. Come sirene che suonano impazzite. Ritmi frantumati e ossessivi, armonie spigolose. Una linea melodica in qualche modo riesce a mettere ordine per poi venire spezzata nuovamente dai capitani ingarbugliati. Da notare la ricercatezza nei titoli dei pezzi. Post-rock-matematico strumentale se un genere bisogna individuare. E il nome è tutto un programma. Captain, come la follia di Captain Beefheart e Quentin Compson, decadente personaggio de "L'urlo e il furore" di William Faulkner. Cinque calabresi da Taurianova con lo sguardo rivolto a Lousville o Chicago, a etichette come Skin Graft e Touch and go. Memorie di Don Caballero, June of 44, Slint. Complessi ed affascinanti.
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