I Funkallisto se ne vanno in giro per le strade del mondo. Per le strade a suonare. Funk romano. Funk che fa ballare sui marciapiedi, sulle strade, sulla terra. All’improvviso. E chi ascolta, balla e tiene il tempo, sorseggiando una birra; non pensando a quanto tempo e studio ci vogliano per riuscire a suonare così bene, con una naturalezza così pulita. Tecnici a bestia, finti freddi, non freddi, ma caldi come l’Italia, la nazione più nera d’Europa (ma non era l’Irlanda?), vivi come Roma, la città più nera d’Italia, sanguigni come Trastevere, er core de Roma.
Willie Bobo, Mongo Santamaria, Oscar Brown, Herbie Hancock, Sookie, Maceo Parker. Tutti assieme, come se i settanta non fossero mai finiti. E oggi, direttamente da Ponte Sisto, i Funkallisto fanno bella musica funk, afro-beat, e latin sporco di jazz. Risuonando musica immortale, di musicisti più che mortali. E spesso già passati a miglior vita. O giù di lì. Uomini come tutti. Ma è con la leggerezza della memoria e del ricordo che le leggende vengono tramandate, scomposte e ricomposte. Anche per strada. Anche su un disco. Da persone lontanissime, pressoché uguali. Magari bianche, che più bianche non si può.
E ora, visi pallidi, ripetete ad alta voce con me (nel vostro più stretto dialetto italiano che conoscete): "Sono un nero e me ne vanto!".
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