Fuori moda, molto grezzi, piuttosto immaturi. Poco innovativi. Estranei alle scene trend setter. Assolutamente sensazionali. C’era davvero bisogno dei Ministri. Nessuno si aspettava che da Milano uscisse nuovamente una band del genere. Di quelle che suonano senza atteggiamenti da onanisti sociopatici e si assumono la responsabilità di urlare le cose fuori dalla cameretta, in faccia alla gente. Proprio come negli anni novanta, ma con una credibilità contemporanea assolutamente spiazzante. Questi vanno protetti, aiutati, idolatrati. Sono ancora ingenui ed approssimativi, ma hanno una faccia da culo che non si vedeva da anni. Puri, spontanei, scalmanati e con un talento strepitoso. Power trio chitarra, basso, batteria. Una volta si chiamava rock duro, adesso potrebbe sembrare anacronistico, resta il fatto che si tratta di musica estranea al contesto stilistico ed attitudinale del mondo indie contemporaneo. Qui si parte dagli anni novanta e si fanno piccole incursioni negli anni settanta con credibilità moderna. L’insegnamento degli Afterhours finalmente ripreso senza lagne e rimodulato con stile e consapevolezza. Verrebbe da dire che forse Manuel Agnelli non fosse così bravo a ventanni. Insomma, qui c’è materiale davvero importante e non c’è niente che sappia di vecchio. Chitarre nervose e scomposte, cadenze sincopate, ritornelli e controcanti stralunati. Rabbia ed ispirazione. I Ministri vanno giù dritti. Canzoni che sconfinano in deliri e invettive. Intelligenti, ma non intellettuali. Giocosi, quasi grotteschi, ma con furia iconoclasta. Soprattutto pieni di magnifica presunzione, quella di cui certo rock non può fare a meno. E con tante idee, a cominciare dall’euro contenuto nella copertina del disco e regalato ad ogni acquirente, per poi cantare “I soldi sono finiti”, nervoso sfogo generazionale suonato come avrebbero fatto gli Slipknot se fossero cresciuti ascoltando Rino Gaetano. Ma è tutto il disco a rappresentare una dissertazione sui tempi moderni, costruita sull’alternanza fra puro hard rock e spunto cantautorale. Insomma, intensità e contenuti. E voglia di litigare un po’ con tutti. “La vostra chiesa è fatta di cemento armato, ma forse è il momento che crolli all’improvviso”. Testi giovanili e visionari, che guardano anche a Donatella Rettore e Faust’O, rileggendoli con lo spirito del garage rock ed una potenza melodica che sfiora certo grunge primitivo, con spiccata predisposizione all’apertura pop. Inoltre l’interpretazione di uno shouter come tratto distintivo. Dodici canzoni con qualche incertezza, ma con una scrittura impressionante. Pur se in ambiti artistici completamente diversi, potrebbero occupare il posto che fu dei Verdena e fare addirittura meglio se qualcuno avrà il coraggio di puntare risorse e denaro. Quel denaro su cui i Ministri hanno costruito il concept di un esordio che nel genere non capitava da tempo in Italia.
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