Un disco nato sui tasti di un pianoforte, cresciuto attraverso sperimentazioni garbate, fino al raggiungimento di una forma vaporosa e notturna. Michele Ducci è un vento fresco nel deserto discografico italiano
L'estate sta per iniziare, e così anche l'estate della discografia italiana, che solitamente da metà luglio si prende una novantina di giorni di vuoto cosmico. Ecco, in questo strano 2024, fatto di disconi da trecento feat, reunion, Sanremo da nove ore a serata, sembra che il letargo sia arrivato prima, non appena il termometro ha provato ad avvicinarsi ai trenta gradi. Ed ecco che ci si arma prontamente di metal detector, per andare a scovare questo esordio, un piccolo disco lieve come la voce del suo interprete.
SIVE porta il nome di Michele Ducci, non sappiamo chi sia, dove si collochi nel mondo, ma ci viene da chiederci come mai abbia realizzato un disco così interessante. Dieci tracce dalla concentrazione cantautorale classicissima ma allo stesso tempo bizzarra, per essere un progetto italiano. Inizia tutto con voce e piano, sia cronologicamente - perché la prima traccia, River, è una ballata classica, da manuale -, sia come processo creativo.
Si sente perfettamente come l'anima musicale di Michele Ducci sia dipendente dai tasti bianchi e neri, da cui scaturiscono le bozze dei brani, prototipi maneggiabili all'infinito, duttili e mai veramente finiti, forse nemmeno dopo la pubblicazione. Ogni parte di SIVE sembra come galleggiare sulla forma vaporosa che il suo autore ha voluto dargli. Pochi contorni definiti, tanti colori, e soprattutto una sperimentazione ricca, seppur non roboante.
C'è la vena gospel che attraversa Just Because - brano dallo strano vitalismo, debitore dell'ultimo Venerus -, c'è il pop dal sorriso malinconico alla Lou Reed di You Lay the Path by Walking on It, c'è soprattutto lo schizzo al limite col trip-hop di Hic, che chiude il disco in modo inaspettato, ma di certo sorprendente. Tra singhiozzi rumoristici e la consueta apertura melodica, affidata al pianoforte e a qualche parola, il brano offre il ritornello più a fuoco, romantico nei modi, sghembo nella forma.
Il collante di SIVE è la voce di Michele Ducci, calda e velata di un lamento sottile, che ondeggia tra la padronanza canora e il tentativo di dare corpo alla lingua inglese, forse non del tutto addomesticata. Ma a parte un paio di momenti non irresistibili, il lavoro brilla di una luce molto chiara, molto poco italiana, direbbe un maestro, e forse in questo momento storico è un bene.
Lasciati da parte i provincialismi di molti colleghi più illustri Michele Ducci ha preferito piegarsi sul suo strumento, senza strane pretese di mauditismo, romanticherie posticce e via dicendo. In SIVE affiora un dramma cantato con garbo, con una barra tenuta dritta dallo stesso Michele, che per l'occasione suona tutti gli strumenti a disposizione. Un approccio serio, a tratti rigoroso, al servizio di una creazione oscura, dalle atmosfere notturne, per provare a captare qualche vento fresco in una stagione che si prospetta drammaticamente calda.
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La recensione Sive di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2024-06-07 11:15:00
COMMENTI (1)
Michele Ducci era la metà del duo M+A, che nel 2013 uscirono con These days, che consiglio di recuperare, e parteciparono l'anno dopo a Glanstonbury.