Tutto me, più che un album, è un manifesto programmatico. È una dichiarazione di intenti, è il risultato di lunghe introspezioni e di profonde autoanalisi, concentrato in nove brani. Come filo conduttore del suo primo disco, JSplit ha scelto proprio la sua esperienza personale, le sue riflessioni, le visioni particolari ed essenziali. I generi, benché l’impronta rap rimanga alla base, si alternano, così come gli arrangiamenti, i rimandi e le scelte lessicali. Tutto me è disco che potrebbe apparire disunito, quasi fosse una compilation, se non fosse che l’identità dell’artista è chiara, e soprattutto riesce ad emergere nitida, pezzo dopo pezzo, coerente e riconoscibile, a creare coesione.
Tutto me è un disco interessante sotto diversi punti di vista. Il primo è certamente l’eterogeneità, ma anche la qualità, della produzione. Lo abbiamo detto poco fa, l’intenzione del disco è certamente rap, nel ruolo protagonista della parola, vomitata e che racconta del proprio vissuto, e nelle metriche, nei flow, nella ricerca degli incastri tipici del genere. Le produzioni, tuttavia, spaziano all’interno di un territorio molto ampio, a donare varietà all’album, senza mai compromettere il risultato né, paradossalmente, l'unità. La svolta, opening track, possiede la regalità tipica delle intro degli album rap. Il mio demone, Vuoi forse la luna sono dei pezzi trap, con i bassi martellanti. In Sento, compaiono i synth anni ’80, in Voglia arriva addirittura il reggaeton, l’inciso di Soltanto una foto sembra uscito da un pezzo pop dei primi anni duemila. E per finire, L’amore, brano conclusivo, dove dopo le strofe mitragliate arrivano gli incisi retrò, rarefatti, che emanano lidi lontani – e l’eco de La Nave di Fabio Concato, e la partenza come dolore e assenza, caricano il pezzo di un pathos estremamente scenografico, reiterato dalla seconda voce femminile, in assolo nell'ultimo inciso.
Ma non è solo la produzione a impreziosire Tutto me. Nel disco, ci sono delle canzoni che, anche da sole, come singoli estratti, funzionano molto bene – oltre alla opening e alla closing track, Soltanto una foto e Vuoi forse la luna sono brani ben scritti, ben eseguiti e radiofonici.
JSplit è riuscito, con molta sincerità, a mettersi a nudo in un album che racconta la sua storia, divisa a metà tra un lavoro di giorno e fare rap la sera, per necessità e per rimanere vivo. Quando si toccano le proprie corde più intime, è facile che le emozioni prendano il sopravvento. In certi pezzi, la rabbia che si sente è molta, e talvolta rischia di apparire una tecnica attoriale non troppo convincente, più che la sincera espressione di una parte di sé. Con un po’ di lavoro sulla gestione delle emozioni, e con qualche variazione negli accenti del cantato per scongiurare la monotonia, JSplit ha la penna e le produzioni per poter ritagliarsi il proprio posto. Per adesso, Tutto me è un ottimo punto di partenza.
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