1997, un sottovalutato gruppo scozzese incide "Mogway Fear Satan": una canzone che getta l'anima a bruciare in abissi infernali, ma solo per poterla elevare in polvere verso un celestiale approdo di amplificatori in saturazione. Cosa chiedere ad un disco post-rock 10 anni dopo?
L'Uomo Di Vetro non è una persona accomodante, le chitarre arpeggiano fredde e distanti, la batteria incalza, i campanelli trillano arcani. Il presagio si fa imminente, un cielo oscuro sopra una grande pianura americana e tu che aspetti. Ed eccola, arriva. Ma la tempesta non riesce a travolgerti, non riesce a farti piangere dalla disperazione. Ti senti sicuro perchè conosci già le sue mosse. Cercavo le emozioni: questo cd, ottimamente suonato/mixato/presentato, me ne ha date soprattutto con "Untitled", che parte eterea e poi... una curva improvvisa, si apre un nuovo orizzonte, la strada è stretta e scende verso un oceano prima nascosto, la tua macchina accellera, non riesci a frenare. "Vi porgo i più cordiali saluti dall'inferno, il mio! (...) Lasciate ogni speranza o voi che entrate!" digrigna la voce recitante sul pezzo conclusivo: ma per ora, l'Abisso di vetro non è poi così epicamente diverso dal solito. Che il tempo porti consiglio.
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