Genio o cialtrone? Talento o presa per il culo? Non lo so, ma il dilemma ricorda molto "La Prima Gratta" di Bugo, anche se qui si gioca su un altro campo e con prospettive artistiche diverse. Resta il fatto che non ho ancora capito questo disco e la colpa della mia pessima figura è di Gioacchino Turù, un musicista eporediese che mette insieme diciassette canzoni di anti-pop elettronico a bassa fedeltà, con spruzzate di cantautorato nonsense e schizzi di romanticismo urbano. Quaranta minuti di musica quasi sbagliata. Non sempre comprensibile, non sempre ascoltabile. Eppure c'è qualcosa di importante da qualche parte in questo delirio, anche se non ho ancora capito cosa. Il titolo già lascia trapelare alcuni dettagli: "C'è chi è morto sul Tagadà" è come un ponte tra disagio adulto e divertimento da scuola media. E tutto il disco è infatti un continuo saliscendi tra filastrocche infantili ed improbabili poesie metropolitane. Gioacchino Turù scrive come se fosse affetto da un bipolarismo espressivo. Volgare e romantico, grottesco e delizioso, amorevole e scapestrato. Suona gli strumenti come fossero giocattoli dalle pile scariche e li registra con mezzi di fortuna. La sua elettronica burlesca e pasticciona sfiora i confini del demenziale, ma recupera credibilità con quell'aria semiseria da poeta postmoderno alle prese con intrugli di minimalismo pop. Un Babalot più scanzonato, un Tricarico più confusionario, un Beck molto meno Beck. Insomma, un cantautore con la capoccia un po' deviata ed un'ispirazione discutibile, ma dotato di alcuni colpi strappa applausi che talvolta sembrano casuali. E' probabile che chiunque possa ritrovarsi a canticchiare le sue cantilene strampalate e le sue melodie ubriache. Qualcuno potrebbe innamorarsi del suo lato più sdolcinato, qualcun altro preferirà i momenti di turpiloquio gratuito. Probabilmente in molti resteranno semplicemente disgustati. Di certo Gioacchino non passa inosservato e lascia sensazioni forti. Perchè in questo disco, da qualche parte, deve esserci qualcosa di importante. Forse nemmeno Gioacchino ha capito cosa, ma se riuscisse a scoprirlo, bisognerebbe ascoltarlo molto attentamente.
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