Gato Tomato Volume uno 2024 - Rap

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Il rapper mascherato si affida alle produzioni di Crookers per un (mezzo) album che attraversa agilmente i generi musicali, dove il disagio urbano assume contorni tragicomici

I colori ipersaturati in copertina – quello che gli studiati di Reddit chiamerebbero deep fry – promettono già una croccantezza estrema, anche senza notare i nomi in bella vista che firmano questo Volume uno (questo il titolo del disco): Gato Tomato & Crookers. Se col secondo ci permettiamo di soprassedere alle presentazioni, il primo è ben più sfuggente, per sua stessa volontà: Gato Tomato è in giro da una decina d'anni, però il suo primo live è di appena un mesetto fa al MI AMI, rigorosamente con il volto coperto da una maschera che è una sorta di ibrido tra quella di MF DOOM, chiaro omaggio al G.O.A.T., e quella di Agamennone, ma qua forse stiamo osando un po' troppo.

Chi, invece, osa sicuramente più di noi è il dinamico duo qua sopra. Volume uno è la prima metà di un disco, ma sta già benissimo in piedi come album a sé, nel suo attraversare generi diversi in un flusso quasi continuo con agilità felina: si passa dal nervosismo crescente di Un paio di idee, qualcosa di simile a un post punk minimale nel botta e risposta tra gli ululati di chitarra e la sezione ritmica scarnificata, agli echi dub e reggae di Gita in aria, lasciando le radici hip hop come un vago punto d'appoggio a cui affidarsi, ma senza stare granché a guardarla. Un po' come la rete per gli acrobati al circo.

Volume uno sembra nascere come gioco in studio nel suo riuscire a cambiare volto a ogni passaggio. La stessa Non ridevo mai, brano pieno di spleen affrontato con una verve jannacciana, vede il feat. dei Cochi e Renato di Via Padova, i Brucherò nei pascoli, capitati in studio in una session esperimento – culminata con un cesso rotto, come ci hanno raccontato, ma questa è un'altra storia – e finiti per essere in uno dei brani più distintivi della tracklist.

In questa libertà di movimento, Gato Tomato riesce ad adattarsi tranquillamente al contesto, lasciando che ad unire i brani l'aspetto narrativo, con storie di disagio urbano che vanno dall'hikikomori al consumismo estremo raccontate con tono tragicomico (eccezion fatta per lo skit finale con Crookers che svariona sulla chitarra). Gato si appoggia all'autotune quando la situazione lo richiede, canta, parla, urla, se rappa lo fa in maniera assolutamente personale e comunque dando sempre priorità all'aspetto melodico, scorrendo la ventina di minuti di disco cambiando volto a ogni curva, ma senza mai togliersi la maschera. E ricordatevi: questo è solo l'inizio.

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La recensione Volume uno di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2024-07-05 00:00:00

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