Ed eccolo, finalmente. Il disco che i So:Ho dovevano fare. Adesso. Altrimenti, sarebbe stato tardi.
Un lavoro maturo, come direbbero i barbosi della critica nostrana. Pop elettronico molto 90’s. Preciso, quadrato, impeccabile. Con un “tiro” magnifico e una produzione lucidissima (l’ormai mitologico Carlo U. Rossi a vario titolo coinvolto da anni in mezza musica italiana, dai Baustelle a Caparezza passando per Delta V, Statuto e Subsonica). E dentro c’è un po’ tutta la vivace gamma delle applicazioni di questo approccio che si, certo, dell’elettronica prende gli aspetti più fruibili, efficaci – magari “facili”. Ma che li monta e dirige alla perfezione. E – non da poco – evita abilmente l’ormai vizioso rischio di ricalcare le profonde orme dei subsonici. Ripagando così anche quelle sonorità che, magari, abbiamo già sentito.
Dalle ballate “Il suono della sabbia” e “La città del niente” ai singoloni ultrapop "Marta" e "Altrove". Che le androgine bambine nostrane potrebbero mettere a palla mentre si preparano, questa estate, per uscire sul lungomare, a mezzanotte. Fino allo sguardo verso il dancefloor, che un bel remix di livello non ci starebbe mica male (“Secoli”).
Insomma, i So:Ho sono mid-tempo, malinconici e ammiccanti, furbi e urban – guardatevi il video newyorkese di “Altrove” e innamoratevi di Lara Pagin: io lo sono già da un paio d’anni. Italianieuropei – per quanta electro-cacca estera esaltiamo ogni settimana, o no? E dalla melodie più virtuose e ricercate di una media elctro-pop band. Metti le cuffiette, e scendi in metro. E’ lì sotto che i So:Ho colpiscono.
Già del precedente disco avevo apprezzato la levigatezza dei suoni. Lo scrupolo in produzione. La lunghezza giusta (dieci pezzi anche questa volta). I testi di un certo tipo: magari non pesantissimi, ma attentamente distanti dai famigerati “sole, cuore, amore”. Molto lontani. I So:Ho usano infatti un lessico elegante, pulito, di stile medio tendente al serio. Parlano di trame privatissime, alludono a lacrime notturne e a briciole di storie. A gesti volubili e intenti nobili. A sogni e trip cittadini. Insomma: giocano con grande professionalità fra canzone d’autore – il cui fulcro tematico sta in una certa melanconia disincantata della vita sociale e privata di oggi - ed elettronica di applicazione di massa.
Tecnicamente – e incastonato nel genere – “Immobile” è un disco quasi perfetto. Al solito: magari il ragazzino che ascolta Kyuss e Silverstein non saprà mai chi siano. Ma questa è un’altra storia. E poi il secondo disco del trio torinese è divertente nella sua essenzialità e nel suo voler cogliere in modo trasversale, pur con una propria cifra ben chiara, un pubblico vasto ma non cretino. Al contrario: un pubblico piuttosto esigente sotto il profilo della produzione, della scrittura, della dignità dell’intero progetto.
Donc: radiofonia per menti duttili. Teste attente a melodie ricercate, sostenute da arrangiamenti “che fanno quel che devono fare”. Con “Immobile” i So:Ho si giocano tutto. Personalmente, spero se lo giochino alla grande.
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La recensione Immobile di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2007-06-13 00:00:00
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